Bloc-notes

SENTI QUESTA, SAN NICOLA

 

Il due novembre è prossimo, i cimiteri si affollano. Per la Chiesa il giorno della morte di un suo fedele è il vero giorno della nascita. Ma in questi giorni la fede è a terra, si fa fatica, si è esposti a tempeste difficili in cui si è tentati di mandare a quel paese tutto e tutti. L'unica arma è gridare. Ma qualcosa ancora impedisce di gridare, la voce viene strozzata in gola. Un vero tormento

 

 

di Carmelo Cordiani

 

            Il due novembre è prossimo, i cimiteri si affollano. Pulizia generale! Un trattamento che si pratica, nella maggior parte dei casi, una volta all’anno. Ho provato, proprio ieri, a domandarmi cosa pensa l’altra folla, più numerosa, che si trova dietro quelle lastre di marmo, ma non sentivo risposta. Pensai di chiedere un parere al Santo Protettore. Questa volta ci andai di proposito e, senza preamboli, gli dissi:

 

            “Come mai la liturgia, ogni volta che muore qualcuno, ripete: Beati mortui qui in Domino moriuntur?”

 

            Scena muta. Anzi San Nicola non si è degnato neppure di sfiorarmi con lo sguardo. “Non è di buon umore”, pensai. Chissà cosa gli avranno combinato. Provai a ripetere la domanda. Niente. Allora decisi di ripresentarmi con l’atteggiamento di sempre, devoto, con le dovute giaculatorie. E ho avuto l’impressione che cominciasse a darmi retta. Stavo per riprendere con la domanda, ma mi interruppe subito:

 

            “Devi smetterla di presentarti con frasi latine, come per dimostrarmi che le sai. Io capisco molto bene l’italiano e anche il galatrese. Parla senza sfoggio di reminiscenze”.

 

            “Scusami, San Nicola! A quanto pare anche a te non piace più questa lingua. Eppure il Papa ha raccomandato di celebrare la messa “possibilmente” in latino, almeno nelle ricorrenze solenni. In Vaticano, per esempio, non si celebra la Messa in italiano, ma in latino e si eseguono, sempre in latino, canti gregoriani”.

 

            “E mi sai dire chi li capisce più?”

 

            “Almeno i celebranti dovrebbero capirli”.

 

            “Per favore, lasciamo perdere. Lo sai che, oggi, la porta del sacerdozio è spalancata a tutti, anche a quelli che provengono dalla ragioneria o dall’Istituto alberghiero. Che ne sanno di latino questi? Per quanto bravi possono essere, il latino non lo digeriscono. Comunque, io ho capito bene la tua domanda e, se hai pazienza, ti rispondo”:

 

            “Ma certo che ho pazienza; ci mancherebbe! Sono venuto apposta”.

 

            “Bene! La Chiesa ripete “Beati i morti che muoiono nel Signore perché, per la chiesa, la morte è il dies natalis”.

 

            “Ah! Ah! Ah! Lo vedi? Anche a te scappa il latino”.

 

            “Non dimenticare che io sono vescovo e non provengo da un Istituto industriale. Ho studiato le lingue più classiche che esistono. Anche l’arabo, se vuoi saperlo. Comunque, per la Chiesa il giorno della morte di un suo fedele è il vero giorno della nascita. Proprio così. Infatti, dopo questa nascita, non si muore più”.

 

            “Tu hai ragione, ma prova a dirlo a tutta quella gente che visita il cimitero, si ferma a lungo davanti alla tomba del proprio caro, diventa triste, sembra immersa in un mare di pensieri. Poi, quando ti trovi davanti il volto di una creatura tanto dolce, giovane, appena entrata in questo nostro scenario sconfinato, bellissimo, ma misterioso, altro che giorno di nascita! C’è da venir pazzi e da pensare a un Dio senza cuore”.

 

            “Vai adagio! Sarebbe senza cuore se ci avesse creato e poi mandati allo sbaraglio. Invece ci segue passo, passo e ci ha preparato un luogo di felicità. Tutte le creatura umane sono state plasmate ad “immagine e somiglianza” di Dio e tu pensi che siano destinate a scomparire dopo la morte? Per voi è difficile immaginare un mondo diverso, senza materia, senza gravità, un Paradiso dove si è felici nella continua contemplazione di Dio. Non andate oltre i vostri sensi e non siete in grado di pensare ad un puro spirito. Solo la fede vi può far compiere quel salto di qualità che vi svincoli dalle pastoie della vita nel vostro mondo e vi faccia guardare molto in alto. Gesù vi ha chiesto solo di credere: “Chi crede in Me, anche se morto, vivrà”. A che punto è la tua fede?”

 

            “In questi giorni a terra, caro San Nicola. Devi credermi: faccio proprio fatica”.

 

            “Ti ho già detto che la fede è come una lampada. Lo dice anche Gesù. Questa lampada, ogni tanto, tende a spegnersi. Lo so che siete esposti a tempeste difficili in cui siete tentati di mandare a quel paese tutto e tutti. Ma so anche che, quando riflettete, rimettete tutto a posto. E’ il Buon Dio che, come  dicevano vecchi saggi, “affligge e non abbandona”. Ed è in questo momento che dovete ripetere all’infinito: Signore, aumenta in me la fede. Gridare dovete, perché Dio senta il vostro bisogno di Lui”.

 

            “Abbiamo proprio tanto bisogno di Dio, ma c’è qualcosa che ci impedisce di gridare. E’ come se la voce viene strozzata in gola. Un vero tormento, in questi giorni particolari. Lo sguardo non si alza da quelle lastre di marmo in cui sai che c’è qualcuno che ti appartiene, muto, freddo, con cui non riesci a scambiare una sola parola. E senti dentro tanta rabbia”.

 

            “Sapessi, invece, quante voci fuoriescono da quelle lastre! Voi non vi mettete mai nella condizione di ascoltarle. Siete prigionieri delle vostre emozioni, dei vostri sentimenti, dei vostri ricordi. Prova a ripeterti: “Mio Dio, oggi non capisco cosa mi succede, ma devi promettermi che un giorno mi spiegherai tutto. Voglio capire, ho diritto di capire perché mi hai dotato di ragione. Dio non rimarrà sordo alle vostre voci. Lo ripete la Scrittura”.

 

            Uscii a testa bassa, più confuso che convinto. Mi portavo, però, dietro l’invito del Santo Patrono a gridare forte: Mio Dio, fammi capire.

            

 

 

Cordiani Carmelo: «SENTI QUESTA, SAN NICOLA. Il due novembre è prossimo, i cimiteri si affollano. Per la Chiesa il giorno della morte di un suo fedele è il vero giorno della nascita. Ma in questi giorni la fede è a terra, si fa fatica, si è esposti a tempeste difficili in cui si è tentati di mandare a quel paese tutto e tutti. L'unica arma è gridare. Ma qualcosa ancora impedisce di gridare, la voce viene strozzata in gola. Un vero tormento», Galatro (RC),  30  Ottobre  2010

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