Bloc-notes

Pasqua a scuola

Giffone: La Passione secondo Salvatore
 

 

di Carmelo Cordiani

Un apocrifo? Nemmeno per sogno. Anzi, rigorosamente canonico, con tanto di imprimatur. E in dialetto calabrese. Un assaggio ? Eccolo. Gesù, sedendosi a tavola con i suoi Discepoli, Giuda compreso, dice: “ Avia gran tempu chi desiderava mu passu cu vui sta jornata. Veniti ‘cca, fratelli mei, pigghiati postu e assettatevi attornu a mia, ca mò gustati l’agnellu, mangiati lu pani e ‘mbiviti lu vinu”.

 

Un’idea originale, quella del maestro Salvatore che, insieme alle colleghe Pina, Felicina, Franca e, dulcis in fundo, Gioconda, ha messo su, con fatica e pazienza, un’ora e trenta di sequenze in occasione della Pasqua. La Passione e morte di Gesù , in un clima di intensa partecipazione da parte degli alunni di terza, quarta e quinta  elementare, interpreti attenti, calati nel personaggio assegnato loro, in presenza dei genitori, dei docenti dell’Istituto Comprensivo (n.d.r. Giffone), del dirigente, dello staff di segreteria

 C’erano tutti, insomma. E c’era, soprattutto il silenzio che la circostanza richiedeva. Un silenzio spontaneo, non preteso, tanto era il patos che gli alunni sono riusciti a comunicare. E non nascondo  qualche tentativo di lacrimuccia . Quando Michele, con un tono di voce così profondo, anomalo per la sua età, ma azzeccato ( la mamma, orgogliosa, mi ha detto che s’è visto Gesù di Nazareth di Zeffirelli, soffermandosi sui monologhi di Cristo, imparandoli a memoria per adattare il più possibile la sua voce ), lento, cadenzato, velato di sofferenza, quando Michele parlava il lungo corridoio del secondo piano, zeppo di gente, sembrava un deserto. Nemmeno il respiro. Tutti attenti a non perdere una sillaba. Dopo la lavanda dei piedi, per esempio, Michele, serio, rivolto alla gente disse: “ Cari amici, vidistivu a quanto arriva l’amuri meu? Io vi dezzi l’esempio e vui fati u stessu. ‘Mbiati pemmu siti se v’amati l’unu cu l’atru comu jeu amavi a vui. E ricordativi ca non c’è amuri ‘cchiu grandi mu si duna la vita pe chidi chi unu ama”.

 

Chissà quante volte abbiamo ascoltato lo stesso brano del Vangelo, in Chiesa, in lingua italiana, da un Sacerdote che ci metteva dentro tanto di enfasi. “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per quelli che ama…”.  Forse le ascoltavamo perché facevano parte del discorso per l’occasione, forse senza un riferimento preciso, tanto, a noi non ci sarebbe mai capitato di dover dare la vita per le persone che diciamo di amare. Che impegno c’è a dover proprio morire per dimostrare di amare! Ma quel ragazzino, con la sua semplicità, ci ha convinto. Ci ha toccato dentro, ci ha riportato alla serietà dell’impegno di cristiani, senza mezze misure o compromessi.

 

E la Madonna? Quando Suo Figlio si allontana per consegnarsi nelle mani dei suoi nemici, ha un momento di grande sofferenza. “ Addio, figghiu! Chi mamma crudeli sugnu! Mu dassu mu si portanu lu beni meu! Ma vui chi de ccà passati, o vui chi siti già ccà, pensati si esisti nu doluri cchiù grandi comu chidu di st’alma mia!.

 

Le mamme presenti hanno sentito tutto il dramma della Madonna. Solo una mamma è in grado di cogliere il senso profondo della disperazione nel vedersi portare via un figlio per essere condotto alla morte. Quella creatura formata e cresciuta nel suo grembo, nutrita con il suo sangue, allevata con le sue premure, con il suo sorriso e con tanta speranza di felicità, viene distrutta, annientata, sopraffatta dall’odio. All’amore si risponde con la violenza. Al bene con il male. La Madonna non accenna nemmeno alla ribellione, non si rivolge a Dio per chiedere un perché? Ha accettato il piano redentivo e sapeva che quella creatura le sarebbe stata consegnata lacerata dai flagelli e dai chiodi. “A li vinti fu calatu di la cruci e ‘ ntra li vrazza di Maria ‘nci riposau ch’era morta dicendo : “Figghiu meu”.

 

Le sequenze della passione, proposte in dialetto calabrese ( lavoro attento del maestro Salvatore ) fanno seguito alle altre in occasione del Natale, di cui abbiamo parlato a suo tempo. Il dialetto, per molto tempo bandito dalle aule delle scuole come un intruso o, addirittura, un diseducatore della lingua nazionale, rioccupa il suo posto d’onore. C’è voluto un po’ di tempo per capire che il dialetto è la lingua che ci appartiene come la pelle, sensibile, capace di dare viva voce al nostro pensiero che, prima di ogni altra esperienza, si forma nelle strade dei nostri paesi, nelle realtà che viviamo in prima persona e non per riflesso. Ben venga la lingua nazionale, ricca, ricamata, abbondante di immagini e di metafore. Ma, per carità, lasciamo che i nostri bambini si esprimano con le parole che hanno appreso e apprendono nell’aria che respirano, con le sfumature proprie dei dialetti che trovano la parola adatta ad ogni occasione, senza raggiri, spontaneamente. L’altro giorno un collaboratore scolastico invitò un collega a spostare la macchina perché “ si passa nu camion ti la munda”. Che forza in “ Ti la munda”!

 

 

 

Cordiani Carmelo - Bloc-notes: «Pasqua a scuola. Giffone: La Passione secondo Salvatore», di Carmelo Cordiani, 4 maggio 2004

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