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	di MARCO FORTIS 
	
	  
	
	“Lezioni” in cui il nostro 
	Paese viene descritto come al limite del tracollo per il troppo debito 
	pubblico ed in preda ad una crisi senza paragoni (rispetto alle altre 
	economie). Come se non fosse abbastanza evidente che vi è oggi un forte 
	interesse nei nuovi Paesi debitori (tra cui quelli anglosassoni in prima 
	linea) a mettere in cattiva luce la situazione finanziaria degli emittenti 
	storici di debito pubblico (come l’Italia) con cui stanno entrando in 
	durissima concorrenza per raccogliere prestiti su un mercato finanziario 
	mondiale sempre più asfittico. 
	Purtroppo, mentre all’estero sono compatti anche a livello di media nel 
	“tirare l’acqua al proprio mulino” e nel rappresentare a tinte fosche la 
	situazione economica dei Paesi concorrenti (oggi anche nel debito pubblico), 
	qui in Italia da sempre pratichiamo l’autolesionismo spinto sulle 
	statistiche economiche e non solo recepiamo come “oro colato” tutto ciò che 
	proviene dall’estero, ma trasferiamo a nostra volta sull’estero, 
	amplificandoli e talvolta persino distorcendoli, tutti i possibili segnali 
	negativi sullo stato di salute del nostro Paese. Così facendo si danneggia 
	enormemente l’immagine dell’Italia, che dovrebbe invece costituire un 
	aspetto di interesse nazionale, assolutamente bipartisan. 
	Un esempio recente è dato dalla pubblicazione da parte dell’Istat dei dati 
	sul deficit pubblico relativi al primo trimestre 2009. Come è noto, il 
	rapporto deficit/Pil in tale trimestre è salito al 9,3%. Un dato certamente 
	preoccupante, ma non tale da giustificare da parte dei media italiani titoli 
	da catastrofe, che poi consentono ai vari “Economist” di rilanciare ogni 
	volta con forza il tormentone del presunto declino italico. Infatti, in 
	pochi hanno evidenziato adeguatamente che il primo trimestre è sempre quello 
	in cui le uscite della finanza pubblica italiana superano maggiormente le 
	entrate. Nel primo trimestre 2005, ad esempio, il rapporto deficit/Pil toccò 
	in Italia l’8,3%: un solo punto in meno rispetto ad adesso che stiamo 
	vivendo la più grave recessione mondiale dai tempi del ’29, con il Pil che, 
	al denominatore del rapporto, ha registrato in avvio di 2009 la più forte 
	caduta.  
	Ciò che conta, nei dati di finanza pubblica, non sono i dati trimestrali, 
	che presentano un’elevata stagionalità, ma quelli annuali. Basti pensare che 
	se prendessimo, pur inglobando il 9,3% del primo trimestre 2009, il 
	deficit/pubblico italiano degli ultimi dodici mesi “scorrevoli”, da aprile 
	2008 a marzo 2009, esso supererebbe di poco il 3,6%. Sicché l’Economist, 
	che già il 19 giugno titolava “Il debito minaccia l’Italia”, farebbe invece 
	meglio ad interrogarsi sul debito che minaccia la Gran Bretagna. 
	Se proprio si vuole fare un raffronto ad armi pari tra Italia e Regno Unito 
	si prendano le ultime previsioni di primavera della Commissione Europea per 
	il periodo 2009-2010. L’unico dato in cui la Gran Bretagna va meglio 
	dell’Italia è quello del Pil nel 2009 (-4,4% noi, -3,8% gli inglesi). Ma ciò 
	solo perché l’Italia è un grande Paese esportatore e soffre la crisi delle 
	altre economie, tra cui quella della Gran Bretagna stessa: il nostro export, 
	infatti, dovrebbe calare del 15,6% nel 2009 pesando in modo sostanziale 
	sulla diminuzione del Pil. Nei consumi delle famiglie, invece, la Gran 
	Bretagna diminuirà nel 2009 il doppio dell’Italia (-3,4% contro -1,7%); ed 
	il calo dei consumi privati inglesi proseguirà anche nel 2010 (-1,5%) mentre 
	l’Italia mostrerà già un recupero (+0,2%). Anche negli investimenti in 
	costruzioni il calo inglese nel 2009 dovrebbe essere maggiore del nostro 
	(-13,2% contro -8,2%). 
	Nel frattempo, però, la spesa pubblica britannica crescerà in misura 
	notevole (+3,6% nel 2009 e +2,9% nel 2010) per sostenere un’economia interna 
	in forte difficoltà, mentre la spesa pubblica italiana resterà praticamente 
	ferma (+0,7% quest’anno e +0,6% il prossimo). Per non parlare del costo dei 
	salvataggi bancari in Gran Bretagna con due delle più grandi banche del 
	mondo nazionalizzate (Rbs e Hbos), ed altre due, Northern Rock e Bradford & 
	Bingley, ancora sotto la tenda ad ossigeno. Sicché il rapporto deficit/Pil 
	dell’Italia nel 2009-2010 sarà solo, rispettivamente, del -4,5% e del -4,8%, 
	mentre quello di Sua Maestà britannica salirà a -11,5% e -13,8%. Depurato 
	del ciclo economico, il nostro deficit/Pil si manterrà entrambi gli anni 
	sotto il -3% di Maastricht (-2,6% nel 2009 e -2,7% nel 2010), mentre quello 
	inglese lo sfonderà di 3 e 4 volte, rispettivamente (-10,2% quest’anno e 
	-12,2% il prossimo). 
	A ciò si aggiungono i debiti delle famiglie e delle imprese inglesi (pari, 
	rispettivamente, al 100% e al 109% del Pil contro il 34% e il 73% di quelle 
	italiane), sicché già nel 2007 la Gran Bretagna aveva un debito “aggregato” 
	(del Governo, delle famiglie e delle imprese non finanziarie) di ben 43 
	punti di Pil più alto di quello dell’Italia. Divario destinato a salire 
	perché il debito pubblico inglese, che era pari al 44% del Pil nel 2007, 
	raggiungerà nel 2010 l’82%. 
	Infine, tra il primo trimestre 2008 e il primo trimestre 2009 il numero di 
	disoccupati in Italia, in base ai dati destagionalizzati dell’Eurostat 
	appena pubblicati la scorsa settimana, è cresciuto di 200.000 unità, mentre 
	in Gran Bretagna di oltre 3 volte, cioè di 647.000 unità. 
	L’Economist afferma addirittura, a proposito di toni pacati 
	all’inglese, che oltre ai “luridi” scandali del nostro premier, il “più 
	grande scandalo” del Governo italiano è quello di non ammettere la gravità 
	della crisi. Ma come definire allora l’interessato strabismo benevolo dell’Economist 
	verso l’economia dissestata del proprio Paese?  
	Per noi italiani stabilire che altri stanno peggio di noi non è certo una 
	consolazione. Ma perlomeno smettiamola di farci male da soli assecondando 
	certa stampa estera tutt’altro che imparziale. 
	
	  
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