CISS Torino

Sturzo e De Gasperi
 

Prof. Francesco MALGIERI dell'Università LA SAPIENZA di ROMA,
 

(Convegno “Sturzo nella cultura politica del ‘900”, Torino, 26 giugno 2009)

 

 

 Con Luigi Sturzo ed Alcide De Gasperi siamo di fronte alle due figure più rappresentative nella storia del cattolicesimo politico italiano. Due figure che hanno segnato profondamente la storia del nostro Paese e hanno inciso sulla  cultura politica dei cattolici italiani nel corso del XX secolo.

De Gasperi entra nella storia del movimento cattolico italiano nel 1919, alla fine della guerra. Questo ingresso coincide con la nascita del  partito popolare, che era il risultato della complessa vicenda del movimento cattolico italiano e la realizzazione del disegno politico di Luigi Sturzo.

De Gasperi colse la novità e il significato storico del nuovo partito, che si poneva ormai al di fuori da implicazioni confessio­nali come forza politica moderna, riformista ed espressione di un rinnova­to impegno democratico del laicato cattolico italiano. Non poteva non apprezzare il forte impegno programmatico dei popolari.

 D'altro lato il giovane partito non poteva non apprezzare la presenza tra le sue fila di uno dei più significativi personaggi del movimento politi­co e sociale cattolico europeo, di una personalità che aveva saputo orga­nizzare e guidare un movimento e un partito che erano divenuti forza di primo piano nella vita pubblica del Trentino soggetto all'Austria. Le forti battaglie condotte da De Gasperi a favore dell'autonomia amministrativa della sua regione, in difesa della lingua e della cultura italiana, dei diritti e delle rivendicazioni sociali dei suoi concittadini, contro il pangermanesi­mo, il socialismo e il liberalismo, condotte nelle piazze, sulla stampa e in seno al Parlamento di Vienna, non erano certo ignote in Italia. Per singo­lare circostanza, infine, il nuovo partito dei cattolici italiani veniva ad assumere quel nome di partito popolare, che aveva fregiato l'organizza­zione politica dei cattolici trentini dal 1905 sino allo scoppio della guerra.

Comincia in questo quadro e in questo contesto, il lungo intenso, ricco e a volte complesso rapporto tra Sturzo e De Gasperi,  due personalità, ricche di viva sensibilità umana, politica e religiosa, anche se formatisi in  ambienti diversi e lontani, l’uno in un contesto culturale fortemente segnato da una storia e da una tradizione meridionalista e l’altro maturatosi e formatosi nel clima mitteleuropeo, segnato dall’esperienza dell’amministrazione asburgica.

 

De Gasperi trovò una calda accoglienza in seno al popolarismo italiano. Non a caso,  al primo congresso del PPI, svoltosi a Bologna dal 14 al 16 giugno 1919, De Gasperi venne chiamato ad assumere la presi­denza.

Ma la prima fase dell’impegno di De Gasperi nel Ppi venne principalmente dedicata alla organizzazione del partito nel Trentino, e ai problemi della sistemazione amministrativa della regione. Sturzo seguì con interesse l’attività dei popolari trentini. Non è un caso che a fine gennaio 1921 Sturzo si rechi a Trento per una conferenza, che ottenne - come gli scrisse De Gasperi - “larga eco di consensi e di applausi”[1].

Con le elezioni del 1921, la figura di De Gasperi emerge anche sul piano nazionale: eletto deputato assunse la presidenza del gruppo parlamentare popolare. Il confronto con Sturzo evidenziò orientamenti diversi negli anni più acuti della crisi dello Stato liberale, con l’avvento al potere del fascismo, la partecipazione popolare al primo governo Mussolini e la successiva uscita dopo il congresso di Torino dell’aprile 1923. La linea di Sturzo non coincide con quella di De Gasperi. Mentre Sturzo non crede nella costituzionalizzazione del fascismo e manifestò il proprio dissenso di fronte alla partecipazione popolare al primo governo Mussolini, De Gasperi nutrì la speranza della normalizzazione e la convinzione che il governo Mussolini potesse favorire un ritorno alla legalità, all’ordine e al rispetto delle regole, pur condannando fermamente i metodi con cui Mussolini era giunto al potere e gli atti di violenza dello squadrismo fascista.

La fiducia di De Gasperi nel processo di normalizzazione ad opera del governo Mussolini durò fino al congresso di Torino nell'aprile del 1923. In quel congresso De Gasperi prese la parola dopo la relazione di Sturzo, dopo quel memorabile discorso che contribuì a disancorare il partito dal laccio di una collaborazione giudicata subalter­na e sterile. Il leader del PPI aveva contrapposto la linea ideologica e pro­grammatica del popolarismo a quella del fascismo, evidenziando la funzione e il ruolo che al suo partito era ancora riservato nella vita politica italiana, di fronte a chi sosteneva che i cattolici democratici avessero ormai concluso la loro funzione, in quanto era lo stesso capo del governo che si assumeva la tutela degli interessi della Chiesa.

De Gasperi pur non nascondendo i rischi della collaborazione. volle precisare, ancora una volta, che quella scelta era avvenuta sulla base della fiducia nei propositi normalizzatori enunciati dal capo del governo. Ammoni, tuttavia, il governo a non valicare i limiti costituzionali, a non modi­ficare il sistema elettorale e a ristabilire la legge e la disciplina nel paese»

Quella scelta, secondo De Gasperi, non doveva comunque alterare il pensiero e il programma del PPI. Era una decisione meditata sulla base delle contingenze del momento, era una risposta pragmatica ad una situazione che imponeva un ritorno alla normalità e il ripristino della lega­lità.

De Gasperi avrebbe avuto modo, in breve tempo, di ricredersi, abban­donando la sua ottimistica attesa dei risultati normalizzatori del governo Mussolini. Nel 1924 avrebbe pubblicamente e onestamente riconosciuto l'abbaglio che lo aveva portato a credere in un Mussolini tutore della legalità dello Stato liberale[2].

 

È indubbio che, almeno fino al congresso di Torino, prevalse in De Gasperi ciò che Gabriele De Rosa ha definito «inclinazione al possibili­smo». Un possibilismo che nasceva «dal sentimento di salvare il salvabi­le, di evitare in qualche modo gli scontri frontali, di non bruciare i ponti alle proprie spalle». Una posizione che evidenziava il diverso temperamento che distingueva Sturzo da De Gasperi. Scrive ancora De Rosa: «Mentre Sturzo era portato alla sfida, alla lotta sul fronte ideologico, alla esaltazione delle ragioni essenziali e storiche del partito, De Gasperi metteva l'accento sulla possibilità di salvaguardare gli istituti fondamentali dello Stato liberale, giustificava il sacrificio o l'accantonamento delle premesse programmatiche, purché fosse garantita la continuità della vecchia legge. Aveva la mente volta agli istituti, alle norme fondamentali del reggimento democratico, più che ai princìpi e alla lotta ideologica»[3].

Questa diversa personalità fu spesso, negli anni del PPI, motivo di contrasto tra Sturzo e De Gasperi, il quale si vide molte volte costretto a piegarsi, ad accettare in buon ordine le linee e le scelte politiche che Sturzo dettava. Ricordando molti anni dopo «quei tempi», in una lettera a Sturzo del 10 agosto 1950, De Gasperi poteva affermare: «io t'ho servito in lealtà e devozio­ne, e deferivo a te, anche quando la mia diversa scuola politica e il mio diverso temperamento mi portavano ad essere perplesso intorno a certe direttive; e negli ultimi più contrastati periodi non venni mai meno pur prevedendo l'ora del sacrificio» [4].

Come è noto, le risoluzioni del congresso di Torino e le spinte antifa­sciste che vi si manifestarono, segnarono di fatto la fine della collabora­zione popolare al governo, con il benservito dato da Mussolini ai ministri e sottosegretari popolari.

Gli eventi successivi sono ben noti. Di fronte al nuovo regime Sturzo e De Gasperi ne subirono le conseguenze De Gasperi ne subì le conseguenze, sul piano politico e sul piano personale.

 Con il passare dei mesi il quadro diveniva sempre più incerto ed oscuro. Le lettere di De Gasperi a Sturzo illustravano con rara efficacia all’amico esule il quadro di una situazione politica che evidenziava un lento ma inarrestabile consolidamento del regime fascista. In una lettera del 9 ottobre 1925, firmata Silentiarium, così illustrava la pesante  condizione alla quale erano sottoposti i popolari: “Il male é che il grosso pubblico piega innanzi ai vincitori. Si ha la sensazione che l’ondata sia travolgente. NOI stiamo in piedi con uno sforzo morale di cui al di fuori non si ha forse un’idea. La campagna personale contro di me continua e si accentuerà. Mi si crede, uno degli ostacoli più forti alle desiderate acquiescenze.” De Gasperi non mancava, tuttavia, di rassicurare il suo amico sulla soliditità morale del gruppo dirigente popolare e sulla saldezza della sua posizione: “Nonostante la tristezza di queste note – scriveva - ti sia di conforto che i membri [della] direzione resistono con immutata fede nel P.P.I. e nella devozione a Te. E primo fra tutti il tuo amico che ti scrive il quale ti prega di ricordarlo al Signore, al DIO della verità e della giustizia e ti prometto di preferire la scomparsa dalla vita politica a patteggiamenti servili”[5]

Scriveva ancora De Gasperi nella lettera del 29 dicembre 1925: “Non abbiamo più stampa né denari. […] Gli amici sono ancora vivi, ma rattrappiti sotto i colpi della sfortuna politica. Il declino di questi ultimi tre mesi è stato veramente rapido; ed è difficile che voi, stando fuori, abbiate un’idea di questa situazione senza stam­pa, senza resistenza alcuna, giacché la rivoluzione incide sugl’inte­ressi. […] Noi siamo più che mai convinti della nostra idea e anche d’aver fatto quello che bisognava fare, ma la sfortuna fu troppo grande e immeritata. […] dirigimi qualche parola di conforto, perch’io soffro immensamente”[6].

Con il passare dei mesi le lettere tra Sturzo e De Gasperi cominciarono a diradarsi. Particolarmente significativa appare la lettera del 15 novembre 1926, nella quale De Gasperi riferì a Sturzo la vicenda del sequestro di cui fu vittima da parte di squadristi fascisti di Vicenza. Il quadro non poteva non apparirgli sempre più buio. L’avvenire non solo politico ma suo personale sempre più incerto: “Che sarà dell’avvenire? Preghiamo Dio per un ordinato svol­gimento e per il bene del nostro Paese. Quello ch’io posso fare non lo so ancora. Mi affido alla Provvidenza, che mi ha protetto anche questa volta e non vorrà abbandonarmi. In parecchi giornali si ebbe un nuovo scoppio di ire contro di me. Ora s’acquietano. Ricordami nelle tue preghiere. Non t’ho rinnegato; come era il mio dovere, a Vicenza, ad una relativa domanda, ho risposto che ti scrivevo qualche volta”[7].

Nel 1926 la corrispondenza si interruppe per ben cinque anni. Solo nel 1931, grazie ad un amico che si recava all’estero, De Gasperi riuscì ad inviare a Sturzo una lunga lettera.  Il quadro era ormai completamente mutato. De Gasperi aveva subito l’arresto, il processo, il carcere. De Gasperi  era ormai un isolato. Riusciva a vivere e mantenere la famiglia grazie al piccolo impiego ottenuto presso la Biblioteca vaticana. La sua vita era difficile e amara. Lo si coglie chiaramente nella lettera inviata a Sturzo “Quante volte parliamo di te e cerchiamo nello spazio muto ed oscuro il lampo, o almeno una scintilla del tuo pensiero! I cuori battono sempre come una volta, benché l’ossigeno diminuisca, e la fede antica si rinnova nel sacrificio di ogni giorno”[8].

Passarono altri due anni prima che De Gasperi potesse scrivere di nuovo al suo amico esule. Nella lettera del 28 dicembre 1933, non manca un ricordo del passato, delle idee e delle battaglie cha avevano animato il suo impegno giovanile e della maturità. Si coglie un senso di smarrimento e di dolore nelle parole di De Gasperi, quando si richiama a quelle idee e a quelle battaglie. Si coglie, soprattutto, lo smarrimento per il ripiegamento e l’ossequio al regime da parte di molti cattolici: “Penoso è parti­colarmente il dover assistere inerti all’oscuramento d’idee che ave­vano illuminato tanto cammino della nostra vita. Nessun rimpianto del passato può eguagliare l’amarezza che si prova al presente nell’assistere passivi a disorientamenti ed equivoci, a dissimulazio­ne di prìncipi, una volta proclamati sacri ed inderogabili. Gli è che come politici si può ben considerarsi morti, ma come cattolici no, a meno di non perdere la fede”[9].

Sturzo gli rispose il 1 febbraio 1934. E’ una lettera calda e affettuosa: “la tua del 28 dicembre fu per me una sorpresa commovente; con­servo la tua fotografia fra le più care. Ti rispondo con tanto ritardo per trovare un momento di perfetta tranquillità e sentire la tua inti­mità presente come se parlassi. […] Gli amici che ho visto, mi han sempre parlato di te: così sapevo della tua quarta bambina, come sapevo quale e quanto buona com­pagnia ti ha dato il cielo a conforto e incoraggiamento. Per quel poco che può valere la mia preghiera al Signore per te e i tuoi, que­sto non manca mai nella S. Messa e più volte al giorno nominal­mente e insieme a tutti gli amici. Per te e per essi, io voglio invoca­re come speciale protettore Santa Caterina da Siena”[10].

 

 La corrispondenza tra Sturzo e De Gasperi riprese dopo sei anni. Nel settembre  1943, quando Carlo  Sforza lasciò gli Stati Uniti per tornare in Italia, Sturzo gli affidò una lettera per De Gasperi, che giunse al destinatario soltanto nel giugno 1944, dopo la liberazione di Roma. E’ una lettera breve, ma intensa. “Se non sarà né necessaria né utile la mia presenza in Italia io resterò qua: le mie condizioni di salute non sono buone. Ma se anche il mio ultimo respiro in Italia potrà giovare alla causa io lo darò con tutto il cuore”. 

Riprendeva tra i due una fitta e intensa corrispondenza, ove si coglie una lettura dei problemi politici, sociali ed economici del paese attraverso due diversi angoli visuali. Da un lato, De Gasperi era al centro della vita politica nazionale, con importanti cariche di governo, era alla guida di un partito che andava orientato nelle scelte, doveva confrontarsi con le altre forze politiche, con la Monarchia, con le gerarchie ecclesiastiche, in un quadro ancora segnato dalla guerra e dalle sue conseguenze e in un contesto internazionale nel quale la posizione dell’Italia appariva quanto mai debole e condizionata dalle decisioni delle potenze vincitrici.

Sturzo, dal suo canto, giudicava la situazione dall’esterno. La sua assenza dall’Italia per venti anni non gli permetteva di valutare interamente quanto il fascismo avesse inciso sul costume, sulla mentalità, sui mutamenti sociali ed economici, sulla cultura del paese. Le informazioni che  forniva la stampa americana, tra l’altro, raramente offrivano un quadro esatto e sereno della situazione.

Il carteggio tra Sturzo e De Gasperi evidenzia anche alcune divergenze su aspetti e problemi della vita politica italiana di quegli anni. In particolare il problema dell’unità politica dei cattolici, la questione del referendum istituzionale e la vicenda legata al mancato ritorno di Sturzo in patria nell’ottobre 1945.

  Riprendendo i suoi contatti con l’Italia e con i molti amici popolari Sturzo non aveva mancato di fornire indicazioni sulla fisionomia che avrebbe dovuto assumere il nuovo partito ad ispirazione cristiana. Bisognava evitare di invadere “il campo dell’Azione cattolica” e non dimenticare “quel che fu nel 1918-19 il primo tentativo di sistema­zione politica dei cattolici”[11]. Insomma è chiaro come Sturzo rifiuti l’idea di un partito espressione dell’unità politica dei cattolici. Ne aveva scritto, sin dall’ottobre 1943, anche a mons. Hurley, vescovo di St. Augustine in Florida, precisando che i cattolici americani non dovevano confondere l’attività politica dei cattolici eu­ropei con la Chiesa[12].

De Gasperi condivideva sul piano teorico la linea laica e aconfessionale di Sturzo. Faceva parte della sua cultura ed esperienza, ma, in quel momento, comprende che un pluralismo di forze politiche ad ispirazione cristiana o una ampia libertà di opzioni politiche offerte ai cattolici, rischiavano di indebolire il suo progetto, di attenuare la natura interclas­sista del partito, attorno al quale occorreva raccogliere con­sensi in un ampia articolazione di forze sociali, evitando posizioni troppo caratterizzate di destra o di sinistra.

Il dissenso tra i due emerge anche di fronte alla questione del  referendum  istituzionale. Sturzo avrebbe preferito che la decisione sulla forma istituzionale dello Stato venisse demandata all’Assemblea costituente, anche per evitare che i cattolici e il clero meridionali, sostenendo la monarchia, venissero visti con sospetto, alimentando nuovi  anticlericalismi. De Gasperi non condivideva questi timori di Sturzo. ­Le apprensioni di De Gasperi erano prevalentemente legate al pro­blema dell’unità del partito. Il referendum era per lui lo strumento che meglio di ogni altro avrebbe potuto evitare fratture al suo partito. Dare al­l’Assemblea costituente il compito di scegliere tra monarchia e repubblica, significava trasferire la questione istituzionale sul piano delle can­didature elettorali, “il che vuol dire - osservava De Gasperi - rischio di dividere forze che hanno pur necessità sostanziali di stare assieme”[13]. De Gasperi non mancava poi di sottolineare il significato etico, civile e democratico di una consultazione popolare su un problema di così vasta portata. “Per me il referendum – scriveva a Sturzo il 12 novembre 1944 - ha un grande valore morale, perché dà il senso democratico e pacificatore di una suprema decisione popolare e di un consenso esplicito della maggioranza alla nuova forma dello Stato”[14].

 

I due maggiori leader del movimento cattolico democratico italiano, si trovarono, comunque, di lì a poco al centro di un’altra delicata questione, relativa al mancato ritorno in patria di Sturzo. Dopo la liberazione del Nord e la fine della guerra, il sacerdote siciliano aveva cominciato ad accarezzare l’idea di un ritorno in patria dopo il lungo esilio.

Ma il ritorno di Sturzo destava preoccupazione in seno alle mura vaticane. mons. Amleto Cicognani, delegato apostolico a Washington, su indicazioni di mons. Montini cercò di convincere Sturzo a soprassedere al viaggio, in attesa di tempi migliori. Il sacerdote calatino replicò precisando che la sua decisione di parti­re e di sistemarsi a Roma era ben nota sia in Vaticano che presso i suoi amici italiani, da De Gasperi a Scelba. Aveva appreso da Roma che non solo non esistevano ostacoli al suo ritorno, ma che era «desiderato anche al di fuori della De­mocrazia Cristiana». Spiegò con forza le sue ragioni e i suoi programmi.[15]

L’l1 ottobre Sturzo telefonò a De Gasperi: «Tu sai – affermò - che io torno in Italia non per interessi personali ma per servire il paese e contribuire alla sua rinascita»[16].

Le speranze di Sturzo di poter superare le difficoltà caddero ra­pidamente.  Una telefonata e una nuova lettera di mons. Ci­cognani apparvero ben più ferme delle precedenti comunicazioni[17]. Sturzo dovette rinunciare a partire. Il 15 ottobre Sturzo telefonò a De Gasperi. Chiese chiarimenti e spiegazioni[18].  Il leader della Dc cercò di rassicurarlo, di spiegargli i motivi delle preoccupazioni vaticane, delle «apprensioni» di mons. Montini. In una successiva lettera del 26 ottobre De Gasperi non mancò di entrare nei dettagli: esisteva una «particolare preoccupazione del Papa inserita in una concezione generale dell’attività del clero». Un atteggiamento apertamente a favore della repubblica da parte di Sturzo avrebbe costretto il Papa ad intervenire, favorendo «indirettamente la tesi monarchica e il nascere di un partito cattolico monarchico», che De Gasperi considerava «fatale perché la scissione dei cattolici potrebbe portare ad una maggioranza socialcomunista». Aggiunse che Pio XII faceva rimprovero a Sturzo di non sentire «il peri­colo comunista (Spagna compresa)» e di fare  «troppo affi­damento sui sinistri»[19].

Se appare chiaro il peso determinante del Vaticano nel mancato ritorno in patria di Sturzo nell’ottobre 1945, non è, tuttavia, da escludere l’ipotesi che questa decisione sia maturata in seno alla Segreteria di Stato anche con il consenso di “amici” di Sturzo, come i documenti vaticani tendono a confermare. Tuttavia al di là di congetture non emergono espliciti interventi di De Gasperi tendenti a procrastinare il viaggio di Sturzo. Certamente, nei suoi contatti con Montini, non poteva sfuggire a De Gasperi l’orientamento e la decisione della Santa Sede e dello stesso Pio XII. E’ difficile tuttavia stabilire quanto e se abbia pesato una opinione personale del leader della Dc su tutta la vicenda. E’ più probabile che egli sia rimasto alla finestra, cercando di far capire a Sturzo, come emerge dalla lettera del 26 ottobre, quali motivazioni avessero spinto la Santa Sede ad assumere un atteggiamento così pesante, che faceva riemergere le antiche ombre del passato nei rapporti tra il Vaticano e il sacerdote calatino[20].

 

 Sturzo rientrò in patria il 6 settembre 1946. Si apriva una nuova fase nei rapporti con Alcide De Gasperi e cominciava per il sacerdote calatino una nuova e significativa esperienza. Una fase nella quale si misurò con De Gasperi con la consueta franchezza, senza riserve. Le numerosissime lettere che scrisse a De Gasperi  toccavano i temi e gli aspetti più disparati della vita pubblica nazionale.

E’ indubbio che Sturzo riconobbe a De Gasperi innegabili meriti. Le elezioni del 1948 lo avevano convinto sulla funzione di guida che la Dc aveva assunto nel nuovo quadro politico del paese. E’ altresì convinto del ruolo che il partito di De Gasperi svolgeva a tutela del sistema democratico. La Dc doveva sentire la responsabilità di rappresentare gli interessi non di una classe o di determinati gruppi sociali bensì dell’intero paese. Insomma, riconosce alla Dc il ruolo di “partito italiano”, espressione di diversi ceti sociali e di diversi interessi.

Questi riconoscimenti non esclusero, tuttavia,  giudizi a volte aspri nei confronti non tanto di De Gasperi quanto di alcuni aspetti della politica degasperiana, con una severità che sconcertava i suoi vecchi amici. Destava fastidio quel suo atteggiarsi a censore, quella sua predica insistita che metteva in discussione le scelte politiche, gli indirizzi legislativi, gli orientamenti di gruppi e uomini del partito, stigmatizzandone senza mezzi termini i comportamenti.

Lo stesso De Gasperi non mancò di reagire, soprattutto allorché la polemica sturziana sembrava compromettere il delicato equilibrio politico che era stato faticosamente costruito. Agli occhi di De Gasperi, gli atteggiamenti di Sturzo rischiavano di fare il gioco delle opposizioni.

 

 Un primo motivo di dissenso si ebbe in occasione della firma e ratifica del trattato di pace.

Sturzo non condivise le decisioni del governo. Affermò che l’Italia “era stata tradita dagli uo­mini e dagli dei, dal suo stesso governo, dagli alleati di oggi, dagli alleati di ieri“. Il rifiuto di firmare e ratificare il trattato, secondo Sturzo, forse non sarebbe servito ad evitare guai successivi, ma “sarebbe servito a tonizzare il morale nazionale e ad af­fermare il proprio diritto davanti al mondo”[21]. La sua amarezza per non essere stato ascoltato e per vedere naufra­gare tutto un lavoro intenso e tenace condotto negli anni del­l’esilio americano, lo portava a giudicare l’atteggiamento di De Gasperi e di Sforza frutto di “uno stato d’animo quasi rassegnato se non indifferente”, indice di una “crisi psicologica assai preoccupante”[22].

Particolarmente aspra fu la polemica di Sturzo anche nei confronti della riforma agraria. Le lettere a De Gasperi attorno a questo problema furono numerose e insistenti. Il vecchio leader popolare, che pur era stato negli anni del primo dopoguerra tra i fautori di una riforma agraria che avrebbe dovuto realizzare la liquidazione del latifondo meridionale e la formazione di una vasta area di proprietà contadina, guardò con sospetto e timore alla riforma varata da Segni e dal governo De Gasperi, temendo che favorisse i disegni della sinistra.

E’ propiro di fronte a questa polemica a volte aspra e dura, che de Gasperi scrisse a Sturzo la già ricordata lettera del 10 agosto 1950,  che rappresenta la più attenta e meditata riflessione di De Gasperi in merito ai suoi rapporti con Sturzo. E’ una lettera scritta da sella di Valsugana, durante le vacanze estive, durante le quali De Gasperi, lontano dai pesanti impegni romani, aveva modo e tempo per riflettere e giudicare i problemi sollevati dalla polemica sturziana. De Gasperi invitò nella quale invitò a Sturzo a guardare i problemi con una visione più ampia con l’attenzione al quadro generale della politica italiana, alle difficoltà da superare e al delicato equilibrio che il governo e il partito dovevano mantenere per garantire al paese un sistema democratico e il rispetto delle regole.  De Gasperi richiamava Sturzo ad un maggiore senso di responsabilità, con parole forti, giudicando il suo “giocare di scherma” un pericolo, un rischio che mette a repentaglio il regime democratico aprendo la strada a possibili avventure totalitarie. “In generale, caro Sturzo, - proseguiva De Gasperi - o io mi inganno, o tu non hai una visio­ne delle difficoltà concrete che deve superare la D.C. fra le gelosie degli anticlericali e dei signori e l’odio mortale dei socialcomuni­sti. Sembra che tu non ammetta che basterebbe da parte nostra la scomparsa o la discordia di pochi uomini per provocare la caduta della valanga e che non senta quale sforzo inaudito è necessario per reggere in mezzo a tanta bufera. Se non fosse così, come spiegare codesto tuo giocare di scherma con la tua abile penna, menando colpi, che finiscono troppo spesso a ferire il gruppo di uomini che sta battagliando in mezzo a un nugolo di nemici o di indifferenti? E, bada, il tuo esempio viene imitato da certi pigmei e bastian con­trari del partito, e allegramente, giorno per giorno, si offre agli av­versari argomenti, sfruttati certo in malafede, o speranze di scis­sioni. Libertà di discussione, sì: ma siamo in guerra, siamo in peri­colo e la parola libertà è un mezzo, non può essere il fine”.

La conclusione di questa lettera è eloquente. Vi si coglie con grande chiarezza la profonda e intensa preoccupazione che De Gasperi nutriva per le sorti della democrazia italiana, e il suo pensiero torna ancora a riflettere sulle debolezze che la classe politica del primo dopoguerra aveva manifestato in quella fase della storia italiana che aveva visto naufragare il sistema democratico: “Se nel 1922 – ammoniva De Gasperi - avessimo previsto il totalitarismo fascista, non credi che saremmo stati più cauti nell’attaccare lo Stato liberale?”[23].

Un ultimo motivo di confronto tra Sturzo e De Gasperi si ebbe nei confronti della legge elettorale maggioritaria. E’ noto come De Gasperi fosse alla ricerca di una soluzione che garantisse al centri­smo una stabilità in grado di sostenere la pressione delle due estreme. Egli vedeva la nuova legge elettorale come un efficace antidoto di fronte ai rischi di una pericolosa involuzione del sistema politico italiano.

Di fronte a queste preoccupazioni di carattere squisitamente politico, Sturzo introdusse, nella sua polemica, una se­rie di rilievi che mettevano a rischio il disegno di De Gasperi.

Sul Popolo del 28 giugno sostenne che occorreva superare il “pericoloso mito” del premio di maggioranza, che avrebbe provocato l’immissione nel­la Camera di “persone ‘non elette’ direttamente dal corpo elettorale, ma reputate elette fictio legis[24]. Ancora più pesante l’articolo che pubblicò sulla Stampa del 21 agosto, ove affermò che un sistema elettorale doveva essere un “sistema permanente”, non poteva essere “un ripiego del momento”. Le leggi istituzio­nali dovevano avere “l’aspetto della perennità”. I cambiamenti potevano avvenire solo “per esigenze obiettive, maturate dopo la formazione e l’esperienza della legge stessa” e non per “motivi estrinseci riferiti a una determinata battaglia elettorale. Se così fosse - precisava - si avrebbe una legge per ogni elezione, svalutando in partenza il responso elettorale. Su questo errore cadde il fascismo che non credeva ai ludi cartacei; noi che ci crediamo non possiamo caderci”.[25]

 De Gasperi giudicava la polemica sollevata da Sturzo un attacco diretto contro il governo. “Ti pare un giusto modo - affermava - di collaborare con un go­verno amico codesto di metterlo in imbarazzo con delle pubblicazioni precettive di moralità politica, mentre hai tutti i mezzi di comunicare a me o ad altri le tue obiezioni o i tuoi suggerimenti? E ti pare generoso e giusto di intervenire pubblicamente e perentoriamente colla tua auto­rità morale, aggravando le responsabilità di chi alla fine deve pur deci­dere ed eseguire? [...] Tu preferisci maneggiare le tue armi polemiche senza darti pensiero dell’amarezza che esse producono. Ma l’inghiottire amaro non sarebbe cosa importante se grave non fosse la situazione par­lamentare”.

La polemica di Sturzo era motivata da preoccupazioni di ordine politico-istituzionale che avevano una loro ragion d’essere. Ma è altrettanto indubbio che De Gasperi, in quel delicato momento della vita politica italiana, era costretto a parare i colpi che gli venivano dal rigore morale e dalle preoccupazioni istituzionali del suo vec­chio compagno di battaglie.

 

Queste dure polemiche e gli scontri così vivaci e a volte aspri, che hanno caratterizzato il confronto tra Sturzo e De Gasperi, non riuscirono mai ad intaccare l’amicizia, la stima e l’affetto reciproco, non misero mai in discussione i sentimenti profondi che erano alla base del loro rapporto. In ambedue sembra prevalere la convinzione che i dissensi e le polemiche non potevano turbare sentimenti ben radicati, maturati nel corso di una lunga collaborazione, di una amicizia vissuta nella comune adesione a valori condivisi, in momenti difficili e drammatici della vita politica e sociale del nostro paese.  Un affetto che si coglie anche nei momenti più delicati del loro rapporto. “Il pensiero di non essere d’accordo con te – scrisse De Gasperi nella lettera del 10 agosto 1950 - mi è grave e non vorrei mai in un colloquio dissimulare ciò che penso; d’altro canto ormai in­vecchio, l’ora del rendiconto innanzi a Dio si avvicina e non vorrei che fra i meritati rimproveri ci fosse quello di aver recato dolore a un uomo, al quale sono attaccato per antico affetto e rinnovata am­mirazione”[26]. Parole cariche di premura e sensibilità. Sturzo, dal suo canto non mancò di manifestare analoghi sentimenti nei confronti di De Gasperi. Scriveva il 26 novembre 1950: “Tu sai con quale trepido affetto seguo i tuoi sfor­zi per dirigere il paese verso un’effettiva ed efficiente rinascita e un migliore avvenire”[27].

Nonostante le sue polemiche, Sturzo non negò alla Dc e al suo leader anche il merito di “aver dato una impostazione vera e reale al nuovo regime repubblicano”, assicurando “le libertà costituzionali”[28]. Sottolineò “il gran servizio reso dalla De­mocrazia cristiana alla stabilizzazione monetaria, e la posizione riguadagnata per questo campo, dalla stessa iniziativa privata”[29]. La Dc era riuscita a “superare le crisi politiche, economiche e sociali senza rivolte, senza scos­se, con graduale assestamento interno ed esterno, con costante sviluppo nella ricostruzione morale e materiale del paese”[30].

In un articolo pubblicato  nel 1957 riconobbe a De Gasperi il grande merito di aver favorito, nel triennio 1944-1947 “i passaggi dallo stato di guerra alla normalità legale, dalla monarchia alla repubblica, dalla collaborazione ciellenista  al governo di partito […] senza gravi disordini di piazza, senza tentativi insurrezionali, pur operandosi la triplice rivoluzione di guerra, di regime, di libertà”. Fu in quegli anni, secondo Sturzo, che De Gasperi “emerse per la sua abilità e moderazione, ottenendo nel 1948 la fiducia della maggioranza degli italiani e allo stesso tempo conquistò una certa fiducia anche presso le nazioni alleate, principalmente dal governo americano”. Per Sturzo  la politica estera di De Gasperi era servita “a rimettere il nostro paese al rango che ci spetta nella vita internazionale, e in alleanza con i paesi occidentali, assumendo la responsabilità che tale politica comporta”[31].

Insomma, Sturzo utilizzò a volte, con insistenza e puntigliosità, la sua passione e il suo spirito polemico, senza tuttavia nulla togliere alla stima e all’affetto per il suo vecchio compagno di lotta, con il quale aveva condiviso i momenti più delicati della storia politica nazionale e delle vicende del movimento cattolico democratico.

 


[1] Cfr. L. Sturzo-A.De Gasperi, Carteggio (1920-1953),a cura di F. Malgeri, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, lettera n. 11.

[2] Il richiamo a Torino, “Il nuovo Trentino”, 4 ottobre 1924.

[3] G. De Rosa, Storia del movimento cattolico italiano, II. Il partito popolare italiano. Laterza, Bari 1966, pp. 360-361.

[4] L. Sturzo-A. De Gasperi, op.cit., lettera 266.

[5]  Ivi, lettera n. 50.

[6] Ivi, lettera n. 53.

[7] Ivi,  lettera n. 65.

[8] Ivi, lettera n. 66.

[9] Ivi,  lettera n. 67.

[10] Ivi,. lettera n. 68.

[11] L. Sturzo, Scritti inediti, III, 1940-1946, a cura di F. Malgeri, Cinque lune, Roma 1975, pp. 308-11

[12] “La loro - osservava Sturzo - deve essere tenuta come attività libera di cittadini sotto la loro responsabilità. Come è stato un errore accentuare il cattolicesimo dei fascisti, o quello dei seguaci di Dollfuss, o Franco, o Salazar, o Petain, così sarebbe errore attribuire alla Chiesa ingerenze nei partiti centristi o popolari o democratici cristiani o anche ex partiti detti cattolici che risorgeranno dopo guerra. Tali partiti saranno, per loro natura, sul piano temporale degli interessi dei propri paesi, faranno del bene o anche faranno degli errori. Certo si è che i cattolici democratici cri­stiani europei hanno una tradizione di apostolato degno di ammira­zione però sul piano politico non hanno diritto di parlare né a nome della Chiesa né a nome dei cattolici tutti di un dato paese” (ALS, b. 205 a, doc. 15).

[13] L. Sturzo-A. De Gasperi, op. cit.,. lettera n. 76.

[14] Ivi,  lettera n. 84.

[15] Su tutta la vicenda cfr. G. La Bella, Luigi Sturzo e l’esilio negli Stati Uniti, Morcelliana, Brescia 1990., pp. 126-128 e F. Malgeri, Introduzione a L. Sturzo-A. De Gasperi, op. cit., pp. XXIV-XXVIII.

[16] Cfr. L. Sturzo-A. De Gasperi, op. cit., pp. 113-114.

[17] Cfr. G. La Bella, op. cit., p. 129.

[18] Cfr. il testo della conversazione in L. Sturzo-A. De Gasperi, op. cit., pp. 114-115.

[19] Ivi, pp. 119-121.

[20] Sturzo rientrò in Italia l’anno successivo, il 6 settembre 1946.

[21] L. Sturzo, La mia battaglia da New York, Garzanti, Milano 1947, p. XVI, XXI.

[22] L. Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e croitiche (dal settembre 1946 all’aprile 1948), Zanichelli, Bologna 1954, p. 3.

[23]L. Sturzo-A. De Gasperi, op. cit., lettera n. 276.

[24] L. Sturzo, Del premio di maggioranza, “Il Popolo”, 28 giugno 1952, ora in Id., Politica di questi anni (dal luglio 1951 al dicembre 1953), Zanichelli, Bologna 1966., pp. 246-7.

[25] L. Sturzo, Tutti proporzionalisti nel 1952, “La Stampa”, 21 agosto 1952, ora in Id., Politica di questi anni (dal luglio 1951 al dicembre 1953), cit., pp. 276-80. Sturzo concludeva affermando che la via del premio di maggioranza era una via “piena di fossi e di trabocchetti, nei quali purtroppo non è profezia ma pre­visione onesta, andranno ad inciampare gli stessi promotori”.

[26] L. Sturzo-A. De Gasperi, op. cit,. lettera n. 335.

[27] Cfr. lettera n. 266.

[28] L. Sturzo, Viva la libertà, “La Via”, 12 dicembre 1950, in Id., Po­litica di questi anni (dal gennaio 1950 al giugno 1951), cit., p. 295.

[29] L. Sturzo, Funzione di centro, “L’Italia”, 21 giugno 1953, in Id., Politica di questi anni (dal luglio 1951 al dicembre 1953),cit., p. 394.

[30] L. Sturzo, Lettera per la nomina a senatore, “Il Popolo”, 28 settembre 1952, ora in Id., Politica di questi anni (dal luglio 1951 al dicembre 1953), cit., p. 302.

[31] L. Sturzo, La funzione del Centro, “Il Giornale d’Italia”, 28 marzo 1957, in L. Sturzo, Politica di questi anni, a cura di Concetta Argiolas, introduzione di G. De Rosa, Gangemi, Roma 1998, pp. 49-51.

 

 

Prof. Francesco MALGIERI dell'Università LA SAPIENZA di ROMA: «Sturzo e De Gasperi, . Convegno “Sturzo nella cultura politica del ‘900”» , Torino, 26 giugno 2009)
 

Home