CISS Torino

La Confessione non è il lettino di uno psicologo o psichiatra

Tra il bene ed il male, verità e bugia, peccato e virtù non c’è più differenza

 

 

di Vito Piepoli

 

<<Che cosa sarebbe di me, poveretto se non ci fosse la confessione?>> (santo Curato d’Ars). Il sacramento della confessione da alcuni decenni <<sta attraversando un tempo di profonda crisi, almeno a livello di numeri>>, ed è per questo motivo – ha spiegato l'arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero - che nel corso dell'anno sacerdotale indetto dal Papa a partire dal prossimo 19 giugno il Vaticano pubblicherà un “Vademecum per confessori e direttori spirituali”. <<Paiono sempre meno le persone che avvertono la differenza chiara tra il bene e il male, tra la verità e la bugia, tra il peccato e la virtù e che, conseguentemente, desiderano accostarsi alla riconciliazione>>, ha spiegato l’arcivescovo ai microfoni di Radio vaticana. <<Se non si ha il senso del peccato è difficile ricorrere, ovviamente, alla riconciliazione: allora, la si confonderebbe con il lettino di uno psicologo e di uno psichiatra>>. D'altro canto, ha sottolineato Piacenza, sia a causa della diminuzione del numero dei sacerdoti, sia anche per un <<malinteso fraintendimento della stessa azione pastorale, non è sempre molto facile trovare un sacerdote disposto ad ascoltare anche per ore le confessioni dei fedeli>>. Il vademecum per i confessori, allora, <<dovrebbe aiutare a riscoprire la bellezza della celebrazione di questo sacramento grondante dell'amore misericordioso del Signore, sia per il sacerdote, sia per il penitente ed eventualmente evidenziare come esso sia in stretta connessione con l'identità stessa del sacerdote>>. L'obiettivo, insomma, è dare più entusiasmo verso questo sacramento e più motivazione verso questo sacramento. A tal proposito si vogliono ricordare quelli che sono stati i confessori del Pontefice Albino Luciani e la sua stessa testimonianza; in particolare alcuni monaci della Certosa di Vedana, convento in cui egli amava recarsi spesso fin dai tempi di Belluno e che frequentò anche per tutto il periodo che fu vescovo di Vittorio Veneto. E se nei trentatré giorni di pontificato lasciò come suo confessore il gesuita Paolo Dezza, che lo era stato di Paolo VI, quando stava a Venezia andava di frequente ad inginocchiarsi al confessionale del padre Leandro Tiveron, gesuita anche lui. Schivo e riservato, il padre Tiveron riguardo al suo illustre penitente rilasciò, dopo la sua morte, solo poche parole: <<Luciani è stato un esempio di coraggio e d’incrollabile fiducia in Dio, d’umiltà unita ad una grande fortezza di spirito>>. Sono parole che rimandano ancora una volta a quella storia umana buona, semplice e misteriosa che Luciani aveva incontrato da bambino nella fede di sua mamma, di don Filippo Carli, il suo parroco di Canale, amico e coetaneo di padre Cappello. Così tante volte aveva ricordato le preghiere insegnategli dalla mamma e ricordato la sua infanzia a Canale, e gli episodi di quella umanissima pietà, di devozione, di amore per Gesù che aveva visto e vissuto da bambino. Al suo parroco era debitore, se era diventato prete lo doveva a lui. E da lui aveva imparato anche tutta la sincerità e l’umiltà nella confessione. <<Guardate>> disse una volta Luciani in un incontro durante la Quaresima <<che il Signore ci ha dato la confessione quale strumento della Sua misericordia e quindi di pace per noi. Non bisogna angustiarsi, avere troppe paure. E non bisogna rimuginare sui peccati commessi. Li avete confessati? Basta, non pensateci più. Certo la confessione deve essere semplice, limpida. Qualcuno quando va a confessarsi, fa un esame di coscienza un po’ complicato, perché pensa: bisogna che faccia bella figura. “Non è posto da far belle figure quello!”, diceva sempre il mio parroco. Allora non è semplice: meglio dir chiaro, con poche parole, quello che si ha da dire. Quello che è stato, con brevità, con umiltà, senza circonlocuzioni... E più che addentrarsi in esami di coscienza troppo complicati è più importante chiedere al Signore di farci sentire il dolore di quei peccati>>. Sua sorella Antonia racconta che una volta durante una lezione di catechismo a Canale, sentì Albino spiegare l’importanza della confessione con degli esempi raccontati dal Curato d’Ars, il quale spesso ripeteva: <<Che cosa sarebbe di me, poveretto, se non ci fosse la confessione? Che cosa sarebbe di noi?>>. E raccomandava di confessarsi con frequenza dicendo: <<Le mamme non cambiano forse spesso i loro bambini? E anche l’anima è così: mancanze ne abbiamo sempre e lavarci dobbiamo sempre, non una volta, due l’anno, confessarsi spesso, se si può>>. Ai suoi sacerdoti indicava esplicito: <<Siamo fedeli a ciò che dice il codice: Frequenter. Vari sinodi dicono: ogni settimana. Cercate di essere fedeli. Un po’ di fatica, ma poi si sta meglio, si è più contenti, si riprende forza. Anche il continuo pentimento, il continuo umiliarsi è utile e salutare>>. Negli anni poi del patriarcato a Venezia, i più difficili, dovette prendere atto con amarezza di quanto quella cara eredità cristiana fosse sempre più lontana dall’orizzonte della vita. <<Sempre più spesso si sente dire: “Il peccato non esiste”. Questo modo di pensare è proprio all’ultima moda e fa paura>>, scriveva in un lettera ai parroci, e riprendeva: <<Ci sono sacerdoti che non credono più tanto alla confessione... Peccati ce ne sono sempre stati, fioccavano, c’è poco da dire, anche nel medioevo cristiano. Ma la gente sapeva di peccare, spaccava la legge anche con peccatacci, ma continuava a rispettare la legge spaccata e neppure si sognava di negare il peccato. Adesso invece dicono che leggi non ce ne sono, e peccati ancor meno... è questo che mette paura>>. Nel ’74, in occasione degli esercizi spirituali per il clero disse: <<Non ho nessun desiderio di fare l’eresiologo; a volte, tuttavia, è forte in me la tentazione di segnalare tracce di quietismo e di semiquietismo, di pelagianesimo e di semipelagianesimo in scritti e discorsi che o descrivono il lavoro pastorale come tutto dipendesse dagli uomini o parlano di noi poveri uomini come se non avessimo più nulla a che vedere con il peccato...>>. E a quei sacerdoti, che lamentavano un calo delle confessioni, deciso rispose: <<Il peccato mortale spoglia le nostre anime. Ruba all’anima la grazia. Il trattato De gratia l’avete fatto, e conoscete gli effetti della grazia sull’anima... La confessione è il banco dal quale si distribuisce il sangue di Cristo, è una croce rossa in cui si aggiustano le ossa rotte dal peccato. Una cosa portentosa... Ma ripeto, come si confessano se non si è spiegato chiaro l’esame di coscienza, il dolore, il proponimento e le altre cose? E ripeto, soprattutto, chi va a confessarsi se non avete detto cos’è la grazia di Dio e quanto è preziosa?>>.

 

 

Piepoli Vito: «La Confessione non è il lettino di uno psicologo o psichiatra. Tra il bene ed il male, verità e bugia, peccato e virtù non c’è più differenza». Torino, 21.06.2009

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