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di Stefano Lorenzetto
Quaranta gradini di
ardesia, la roccia nera di cui sono fatte le lavagne, conducono
nell’abitazione del maestro elementare Enrico Demme. Salita Oregina a
Genova, un’erta acciottolata dove le auto non passano. L’alloggio,
dignitosissimo nella sua modestia, ha più dell’aula che della casa: Miriam,
10 anni, Maria Pia, 8, Benedetta, 5, Samuele, 4 mesi, lo riempiono del loro
vociare. «Siamo ufficialmente famiglia numerosa, ce l’hanno scritto anche
sulle carte», informa allegro il capotribù, sposato dal 1996 con Cristina,
mite impiegata di banca armata solo di sorriso e pazienza.
Averne di maestri così, a
meno di 1.400 euro al mese. Peccato che questo docente di scuola primaria -
ma lui preferisce la vecchia dizione - si sia messo in testa un’idea davvero
balzana, di questi tempi: crede che i suoi figli, e i suoi alunni, e i suoi
simili, insomma gli uomini in generale, siano fatti a immagine e somiglianza
di Dio, anziché delle scimmie. Cioè siano frutto della creazione, non
dell’evoluzione. E, quel che è peggio, s’è pure messo a insegnarlo a scuola.
Non l’ha spacciata come verità di fede. Ha solo esposto una teoria: la vita
come esito di un Progetto intelligente anziché del Caso.
È andata come doveva
andare: s’è rovinato la sua, di vita. Proteste delle famiglie. Ispezione
ministeriale. Ipertensione arteriosa con punte fino a 160 di minima e 220 di
massima. Sette mesi di malattia. Due visite fiscali domiciliari la
settimana. Trasferimento per incompatibilità ambientale dalla scuola
Giuseppe Garibaldi alla scuola Mario Mazza. Adesso Demme ha condensato la
sua lunare esperienza in un dattiloscritto di 103 pagine che aspetta solo un
editore. S’intitola A scuola dall’Anticristo. Cronache dell’orrore
nella scuola elementare di Stato. «Se non fosse stato per un’interpellanza
al ministro dell’Istruzione presentata da un deputato che nemmeno conosco,
l’onorevole Stefano Losurdo, mi sa che avrei dovuto cercarmi un altro modo
per mantenere la mia famiglia». Sarebbe stata una doppia tragedia, perché
questo maestro, laureato in lettere e già docente nei licei, è arrivato
nella scuola elementare per passione, non per caso, a 40 anni. Oggi ne ha 55.In
precedenza Demme aveva fatto il giornalista professionista. Era redattore
dell’Unità. «Ho rischiato di ritrovarmi come direttore Massimo D’Alema, che
era stato mio compagno di studi all’ Andrea D’Oria, il liceo classico della
buona borghesia. Mi è andata bene: ci entrai sei anni prima, quando alla
direzione c’era Emanuele Macaluso. Una parte dello stipendio bisognava
versarla al Pci».
Pochi giorni dopo averlo
assunto, lo misero in cassa integrazione insieme con altri colleghi. «Ma
questo sarebbe stato il meno. È che avrebbero preteso di farci lavorare
ugualmente di nascosto, in nero. Risposi che me ne sarei andato a pescare in
Spagna. E così feci: a Burguete, vicino a Pamplona, un posto hemingwayano.
Al ritorno, non riuscii più a trovare lavoro a Genova. Porte sbarrate. Alla
fine dovetti restituire la tessera dell’Ordine dei giornalisti».
Nello stesso periodo Demme
si avvicinò alla fede. «Quando stavo all’Unità, più che ateo o
anticattolico diciamo che ero agnostico. Giovanni Paolo II si salvò dai
proiettili sparati da Ali Agca nel giorno dedicato alla Madonna di Fatima.
Andai a leggermi la storia di questi tre pastorelli portoghesi: capii che
avevano previsto con anni di anticipo tutti i grandi avvenimenti del
Novecento, incluso l’attentato al Papa. Dopo qualche mese bussò alla mia
porta una venditrice di libri, che riuscì a vendermi un volume su Medjugorje.
Ci sono andato in viaggio di nozze. Il primo rosario l’ho recitato con
Cristina. Mi sono sentito come la volpe stanata dal bosco, costretta a
correre allo scoperto, di cui parla Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia.
Ho dovuto dire: va bene, hai vinto, c’è Qualcosa».
L’ha
convertita sua moglie?
«Ci siamo conosciuti frequentando lo stesso confessore, padre Eugenio
Ferrarotti, superiore della chiesa di San Filippo; è morto una decina d’anni
fa. Ho visto un serio funzionario del Psi genovese, non credente e vitaiolo,
guarire da una serie di gravi quanto misteriose malattie dopoun esorcismo
praticatogli da padre Eugenio».
La fede è all’origine dei suoi guai a scuola?
«Di sicuro non mi ha giovato. Alla ripresa delle lezioni, nel settembre
2006, mi fu tolta la seconda classe, che avrei dovuto accompagnare dalla
prima alla quinta. Feci mettere a verbale nel collegio dei docenti che il
dirigente scolastico mi aveva motivato la decisione con le lamentele di tre
mamme perché avevo insegnato che sull’origine dell’uomo esistono altre
teorie oltre a quella evoluzionista. L’ispettore ha scritto che la censura
critica nei miei riguardi è di tipo didattico, non ideologico. In pratica ha
riaffermato implicitamente che l’evoluzionismo è dottrina di Stato. Il
tutto, giova precisarlo, è arrivato dopo otto anni di screzi».
Che genere di screzi?
«Ho contestato il materiale didattico di un gruppo di maestre femministe che
decantava la “conquista dell’aborto” e accusava la Chiesa di aver sfruttato
la prostituzione. Ho impedito che venissero distribuiti in orario di
servizio i volantini della Cgil. Quando, prima della riforma Moratti, lo
studio della storia arrivava fino ai giorni nostri, ho parlato in classe del
comunismo».
Ahi!
«Certo in maniera più imparziale rispetto a quanto riportato nel testo per
le quinte Voglia di conoscere, pagina 293: “Nel 1924 morì Lenin; gli
successe Stalin, che instaurò una spietata dittatura. L’opposizione interna
venne stroncata e qualsiasi forma di democrazia eliminata”. Si fa intendere
ai bambini che con Lenin non c’era la dittatura, bensì la democrazia.
Inoltre al tempo della guerra in Irak non ho esposto alla finestra la
bandiera della pace, come hanno fatto gli altri colleghi».
Da impiccagione.
«Un po’ come ribellarsi all’ecologismo, mettere in discussione il Protocollo
di Kyoto, dire che l’acqua è un bene riciclabile dal momento che evapora e
si trasforma da nuvole in pioggia. O negare l’effetto serra, come ha fatto
Michael Crichton, il bestsellerista di Jurassic Park, Coma profondo e E.R.
Medici in prima linea. Tutte eresie, nella scuola di oggi».
Chi verifica che i libri adottati dai maestri siano veritieri e
imparziali?
«Nessuno. Ho dovuto scrivermene uno per esasperazione. Un libro di storia,
Prima e dopo, nel senso di prima e dopo il Cristianesimo. L’ho
mandato a una casa editrice molto sensibile al tema. Mi ha risposto
informalmente che il testo è valido ma non vuole impegolarsi nel ginepraio
della scuola elementare».
Che cosa c’è di sbagliato nella teoria dell’evoluzione della specie?
«Il padre della teoria, innanzitutto. Charles Darwin, un naturalista
convinto che a forza di pensare si espandessero le ossa del cranio. Di
ritorno dalle isole Galápagos la sorella gli disse: “Oh, ti si è allargata
la testa”, e lui, anziché riderci su, la prese come una conferma della
propria teoria. Discendiamo dall’uomo di Neanderthal? A me risulta che non
siamo nemmeno parenti. Lo hanno accertato ricercatori americani della
Pennsylvania State University estraendo il codice genetico dalle ossa del
primo cavernicolo scoperto 151 anni fa nella valle di Neander, in Germania:
sono state riscontrate 27 differenze sostanziali col nostro Dna
mitocondriale, quello che si trasmette praticamente invariato da madre a
figlio».
Ma scienza e fede non avevano trovato un punto d’intesa?
L’evoluzione teistica concilia il Big bang, l’esplosione creata da Dio dalla
quale 13,7 miliardi di anni fa avrebbe tratto origine l’universo, con la
successiva comparsa delle varie forme di vita, uomo incluso.
«Certo, a patto che resti l’idea della creazione iniziale e sia fatta salva
la teoria monogenetica, quella per cui tutti gli uomini discendono dagli
stessi progenitori».
La Chiesa cattolica non ha una posizione ufficiale sul darwinismo,
lascia l’ultima parola alla scienza.
«Il discorso è più scientifico che teologico. Nessuno è mai riuscito a
spiegare il passaggio dal brodo primordiale alla complessità della cellula.
Come e perché le cellule si sono unite e organizzate sino a formare
organismi superiori? Il salto dall’animale all’uomo risponde a una
concezione magica della scienza. Perché non siamo circondati da forme di
vita intermedie?».
Il tempo delle ciliegie, libro di storia e geografia per le
classi terze, insegna che «per dare una spiegazione alla loro esistenza» gli
uomini si sono inventati «esseri superiori» e «accadimenti fantastici». In
una parola si sono inventati Dio.
«Guardi che questi testi sono adottati persino nelle primarie che dipendono
da istituti religiosi. In una di queste scuole hanno proiettato agli alunni
un documentario sui primati che si concludeva così: “Oggi sono scimmie,mafra
chissà quanti anni potrebbero diventare come te”. D’altronde Peter Singer,
luminare della bioetica che insegna a Princeton, osannato da Time
fra i 15 pensatori più importanti del mondo, sostiene che una scimmia vale
più di un handicappato. Non a caso è il filosofo che ha invocato per i figli
dell’uomo “un periodo di 28 giorni dopo la nascita prima che un infante
possa essere accettato con gli stessi diritti degli altri”».
Giovanni Paolo II disse che l’ipotesi evoluzionistica era «più che
una teoria».
«Il Papa attuale mi sembra più critico. Joseph Ratzinger era ancora
cardinale quando metteva in guardia l’umanità: “Tutto deve ridiventare
fisica. La teoria dell’evoluzione si è sempre più venuta delineando come la
via per far scomparire finalmente la metafisica, per far apparire superflua
l’ipotesi Dio”. Ci lascino almeno lo spazio per l’enunciazione di altre
teorie. È un discorso di libertà. No, l’unica libertà accettata è quella che
nel testo di religione Passi di pace per le classi quarta e quinta mette San
Pio da Pietrelcina e Madre Teresa di Calcutta sullo stesso piano di padre
Alex Zanotelli e Gino Strada. Col nullaosta della Cei e l’imprimatur del
vescovo di Casale Monferrato».
A scuola dall’Anticristo. Perché ha scelto questo titolo
per il suo libro?
«Basta leggere lo studio Il mito della scuola unica di Charles Glenn. Nelle
aule trionfa la mentalità massonica ottocentesca che concepiva la scuola di
Stato quale strumento per sottrarre alla Chiesa la possibilità di educare le
nuove generazioni. La Rivista della Massoneria lo scriveva nel 1879:
“L’unico modo per abbattere la superstizione del sacramento della
confessione è la scuola. La scuola è il cannone della battaglia morale”, e
infatti oggi i miei scolari sono sospinti verso il paganesimo: anziché in
Gesù credono nei Gormiti, personaggi di plastica che manifestano la loro
divinità attraverso il potere sulla natura. Anche nella Cambogia di Pol Pot
la pretesa di rifondare il mondo passava attraverso l’indottrinamento dei
bambini, “lavagne bianche” da cui tenere lontana qualsiasi traccia di
tradizione per potervi scrivere sopra a piacimento. “Chi controlla il
passato, controlla il presente”, profetò George Orwell, quello del Grande
Fratello e della Fattoria degli animali. La “lavagna” è quasi bianca anche
in Italia».
Dice?
«Dico. E aggiungo, per esperienza personale: chi prova a riempirla di
contenuti cristiani si attira grandi sventure. Lei pensi che sono stato
convocato in curia dal responsabile diocesano dell’ufficio scuola. Teneva
fra le mani la fotocopia di una mia dispensa di storia in cui dimostravo che
Cristoforo Colombo era interessato all’evangelizzazione. Mi ha dato
dell’integralista. Eppure era il pensiero di Papa Wojtyla. La scuola di
Stato si mantiene neutra su tutto e così facendo serve i gruppi di potere.
Una situazione ben fotografata in una scritta che don Luigi Giussani notò
molti anni orsono sui muri di un liceo milanese: “Questa scuola puzza di
niente”. Detta legge il relativismo. Speriamo non diventi veltronismo: ha
ragione Tizio “ma anche” Caio».
Come rimediare?
«L’unico principio che deve valere è quello della sussidiarietà: il potere
pubblico si limita a svolgere solo le attività che i privati non siano in
grado di compiere. Bisogna farla finita con la scuola unica di Stato,
restituire ai genitori la libertà di scegliere per i loro figli il tipo
d’istruzione che ritengono giusta. I bambini stanno più tempo in aula che
gli operai in fabbrica: 40 ore settimanali. Solo a Sparta rimanevano così a
lungo lontano da casa».
La scuola è diventata la Grande Balia.
«Ha soppiantato la famiglia. Ho avuto una vivace discussione con una collega
per i campioncini di dentifricio distribuiti gratuitamente dalla Mentadent.
Una lodevole iniziativa, secondo lei. Io invece sono del parere che
insegnare l’igiene orale sia compito dei genitori. Questa idea che tu,
famiglia, mi consegni il bimbo innocente e io, scuola, te lo restituisco
dopo un po’ d’anni provvisto di tutte le virtù civiche e di tutte le
competenze è aberrante. Abbiamo creato una generazione d’orfani di genitori
vivi».
La famiglia non sta meglio della scuola.
«No, in effetti. Se io osassi parlare in classe della famiglia
marito-moglie-figli, finirei linciato. Le racconterò la storia di Alice,
nome di fantasia. Mamma e papà molto belli con quattro figli, il più grande
di appena 6 anni. La signora s’invaghisce di uno sconosciuto, che ben presto
si presenta a scuola: “Sono l’altro papà di Alice”, dice proprio così, “vi
lascio il numero del mio telefonino”. Alice comincia ad avere due case,
diventa svogliata, non fa i compiti perché libri e quaderni sono sparsi in
due mondi diversi. I quattro fratelli non accettano il nuovo papà. Ma
pazienza, arriva un fratellino. La quinta gravidanza segna la mamma: ora è
un’ex bella donna. Gli insegnanti la vedono per l’ultima volta a una festa
scolastica di fine anno. Qualche giorno dopo la signora è sul terrazzo di
fronte al mare col papà del suo nuovo figlio. Porge il neonato al compagno,
scavalca il parapetto e si butta giù. Muore prima di arrivare all’ospedale».
Quanti sono i maestri di sua conoscenza ai quali affiderebbe
l’educazione dei suoi figli?
«In 15 anni ne ho conosciuti solo due. E ho girato sei circoli didattici.
Ogni circolo ha circa 50 maestri. Faccia un po’ lei i conti».
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it
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