Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo

Il futuro dei cattolici in politica,

in risposta all'on. Bodrato.

 

di Vito Piepoli,
Responsabile Centro Internazionale Studi Sturzo  - Torino

 

Caro direttore vorrei intervenire nel dibattito sul futuro del cattolicesimo democratico, anche alla luce delle recenti riflessioni sollecitatemi  dall’incontro “I cristiani e l’impegno politico” avutosi alla presenza del Cardinale Poletto al Valdocco. Sperando che questo mio modesto contributo possa servire ad indirizzare il dibattito alla luce di alcune linee guida sturziane.

In Italia la crisi politica, economica, sociale e morale sta forse per arrivare al suo culmine. E’ pertanto probabile che una vecchia e inadeguata classe politica possa presto essere spazzata via dal fallimento ideologico e finanziario della sua azione. L’augurio è che possa essere sostituita a poco a poco da una classe dirigente, sempre più capace di dimostrare in concreto una forte cultura del servizio e della responsabilità (dopo tanta cultura del potere per il potere e quindi della irresponsabilità).  Una cultura che dovrà avere nella dottrina sociale cristiana un costante punto di riferimento per la grande modernità e validità di questa, come ha testimoniato don Sturzo. Di qui il nostro impegno a divulgare i valori e i principi del magistero sociale della Chiesa, che troppi – anche tra i cattolici – non conoscono o non sanno interpretare correttamente. Valori e principi ignorati dalle diverse classi dirigenti di questo secolo, con i risultati ben noti in termini di guerre (le più disastrose della storia), di malgoverno e di “malasocietà” (per il netto prevalere dello sterile concetto del “dio denaro” che ha spesso prevalso sul capitale produttivo orientato allo sviluppo del bene comune), di indebolimento dei vincoli familiari, e del cattivo uso del bene più prezioso, la libertà, troppo spesso sfigurata in licenza, dall’egoismo, vero cancro della società civile. Per noi cattolici è avvilente che una classe politica di cattolici (o presunti tali) abbia fallito come classe dirigente. Il fallimento ha una causa ben precisa: la mancata adesione ai valori e ai principi della morale e della dottrina sociale cristiana. E’ stato tradito anche il padre fondatore del movimento politico dei cattolici in Italia, Don Luigi Sturzo, il cui grande obiettivo era di portare nella politica – con l’esempio personale dei veri cristiani – la moralità e la buona amministrazione.

Di qui il suo grande dolore – negli ultimi anni di vita – nel vedere alcuni “fratelli” democristiani preparare il terreno per l’alleanza politica con i “compagni”. Un’alleanza che profeticamente, egli vedeva portatrice delle tre “malabestie”: lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico. Basta poi leggere quanto Don Sturzo scriveva nel 1951, in occasione del 60° anniversario della “Rerum Novarum” per capire quale occasione storica abbiano perso i cattolici come classe dirigente nel non seguire il solco tracciato da Leone XIII e quali ne stiano perdendo ancora. L’impostazione leonina è oggi valida come ieri e resta un monito a coloro, cattolici compresi, che per strafare e per non avere la pazienza delle conquiste graduali e solide, invocano lo stato a diritto ed a rovescio, pregiudicando la causa della libertà, sulla quale poggia sostanzialmente anche la causa della elevazione operaia. Ma quello che è paradossale ora è che a risanare il corpo sociale sia proprio la sinistra! Una sinistra in gran parte non più comunista a parole (per ovvi motivi), ma vestita – come Arlecchino – di tante “pezze”: post-comunisti, ex-comunisti, comunisti, socialisti, socialisti riformisti, socialdemocratici, laburisti, ecologisti, cristiano sociali, ecc. Una sinistra senza più ideologia, perché sconfitta da una fallimentare esperienza storica (quasi secolare) di tutti i socialcomunismi; una sinistra che ora blandisce il mondo produttivo per conquistarlo, ora tenta di metterlo in riga per governarlo. Insomma oggi a prevalere è una gran confusione. Come uscire da questa drammatica situazione? Confluendo nella Margherita? Si è citato Don Sturzo ed il suo appello ai liberi e forti. Margherita o non, Don Sturzo sottoscriverebbe sicuramente queste linee guida:

-          innanzitutto finirla con la divisione anacronistica fra ideologie di sinistra e di destra; entrambe saranno escluse dalla storia del XXI secolo, perché hanno causato gravi ferite alla nostra storia, la storia del XX secolo;

-          pertanto il vero bipolarismo potrà nascere solo quando si formeranno due forze politiche di centro, perché entrambe moderate, ma una PROGRESSISTA (è soprattutto la salute del “sociale” che dà forza al “privato”, ossia l’enfasi va posta sui problemi redistributivi) e l’altra LIBERALE (è soprattutto la salute del “privato” che dà forza al “sociale”, ossia l’enfasi va posta sui problemi produttivi);

-          il popolo italiano deve quindi essere educato a condividere alcuni valori-base moderati e a capire la vera essenza del cristianesimo, che difende la persona umana ponendola al centro della società, ma che le impone anche doveri per farle conquistare i suoi diritti , che solo così possono definirsi meritati (il popolarismo sturziano del “liberi e forti” dà un valore etico alla preminenza dei doveri individuali sui diritti individuali);

-          la polemica sullo stato sociale va ricondotta nei suoi giusti termini: l’individuo va educato a rafforzare il senso di responsabilità e di previdenza personale, così da consentirgli di migliorarsi spiritualmente e materialmente. Gran parte dei deboli possono diventare forti. L’assistenza, per essere efficace, deve essere rivolta soltanto a chi è veramente bisognoso della solidarietà sociale. Se non si stimola e favorisce la previdenza privata si rischia di finire nella più completa imprevidenza pubblica. Una società è tanto più solidale quanto più è libera, forte e responsabile.

-          Fra i valori-base moderati di centro vi è quello proclamato nel lontano 1891 da Leone XIII nella “Rerum Novarum”: la stretta alleanza tra capitale e lavoro come forte risposta alla cultura negativa del conflitto sociale predicata da Carlo Marx, una cultura nella quale è caduta – paradossalmente – proprio l’Italia democristiana;

-          Basta leggere la “Rerum Novarum” e tutte le encicliche sociali successive sino alla “Centesimus Annus” per capire come i pericoli dello statalismo, del fiscalismo e del pauperismo profetizzati da Don Sturzo negli anni ’50 siano una preoccupazione costante nell’insegnamento della Chiesa (grande spazio alla proprietà privata e all’impegno personale; promozione della cultura del rischio per rafforzare il senso di responsabilità individuale; libertà di fare, ma controllata da buone regole per non cadere nella licenza e nello sfruttamento del prossimo, fisco equo, perché il fisco oppressivo ed iniquo non può che produrre danni a tutta la società).

La ripresa morale ed economica dell’Italia dipenderà dall’arrivo di una classe dirigente dotata di una cultura ben diversa da quella prevalente negli ultimi decenni. Una cultura liberale, che incentivi la libertà di fare, ma nello stesso tempo che sia sociale, perché orientata al bene di tutta la società attraverso la prevalenza degli interessi generali sugli interessi particolari (non è utopia, basta capire che conviene a tutti che ciò accada). Una cultura e un sistema che si possono pertanto definire con l’espressione “LIBERISMO SOCIALE”. Una cultura che infine si riconosce nel pensiero di Giovanni Paolo II (“Centesimus annus” par. 42), quando questa afferma che il capitalismo corretto (non esistendo un comunismo ed un socialismo corretti) è “un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia”.

 

di Vito Piepoli,
Responsabile Centro Internazionale Studi Sturzo  - Torino
IL NOSTRO TEMPO, 2 dicembre 2001

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