Mina

272. PER VEDERE LA TV IN PACE

Meglio la galera della sorella

Un condannato per spaccio di droga sta scontando la pena agli arresti domiciliari. Non a casa sua, ma come ospite della sorella, in un quartiere di Roma. Trascorre le sue giornate prono davanti al televisore, con estremo fastidio della sorella che non lesina rimbrotti. All'ennesima lite, il condannato scappa per recarsi alla più vicina caserma dei carabinieri e per chiedere di essere riportato in galera, dove potrà finalmente vedere la tv in santa pace.
 

 

Mina

Un condannato per spaccio di droga sta scontando la pena agli arresti domiciliari. Non a casa sua, ma come ospite della sorella, in un quartiere di Roma. Trascorre le sue giornate prono davanti al televisore, con estremo fastidio della sorella che non lesina rimbrotti. All'ennesima lite, il condannato scappa per recarsi alla più vicina caserma dei carabinieri e per chiedere di essere riportato in galera, dove potrà finalmente vedere la tv in santa pace.

E questa è la notizia. Non meno e non più importante di tante altre. Vediamo se merita un po' di sfaccettamento prismatico, se non addirittura una scomposizione tra Joyce, Rashomon e un biglietto del tram.

Lo spaccio di droga è l'evento iniziale che condiziona l'oriente della storia. Una bella schifezza, troppo frequente per emozionare, troppo turpe per provarne rispetto. Un signore spaccia, si fa beccare e condannare, vive gli arresti domiciliari godendo dello strepitoso mondo della tv e, assuefatto e stupefatto (in una sorta di contrappasso del tipo “chi la fa l 'aspetti”), finisce per preferire la tollerante galera, più adatta per sorbirsi “liberamente” i suoi programmi preferiti.

Ed ecco comparire l'ago della bilancia, lo spartiacque, l'elemento condizionante. Una sorella forse rompiballe, forse pedagogica, forse etica, forse catartica, che inibisce il suddetto signore nel suo meritato e riposante svago. Sarà quindi merito suo se le manette si riappropriano dei meritevoli polsi? Proviamo a non crederci. Proviamo, invece, a immaginarci le frasi che avranno contrappuntato le discussioni litigiose. Anche se pure lui, il recluso domestico, sarà stato intercettato, non leggeremo sui giornali i suoi improperi o gli inviti della sorella a dedicarsi al bricolage, allo studio del sanscrito, alla lettura dei classici russi o, perché no, all'uncinetto. Peccato, perché nelle loro liti avremmo trovato un interesse maggiore di quanto ci procurano le stilettate estive che rimbalzano dalla Costa Smeralda, alle sedi delle banche fino alle prime pagine dei giornali.

Sopra tutto aleggia la giustizia che, sicuramente, avrà fatto il suo corso, più simile ad un viale delle rimembranze che al carnevale.

Una commediola o una tragediona? Quando c'è in ballo la televisione, le due possibilità si equivalgono. E allora applichiamo il beneficio di ogni comma e, zoomando indietro, lasciamo sfumare una scena demoralizzante con un televisore che non garantirà neppure uno spiraglio di speranza a nessuno dei partecipanti. Noi compresi.
 

 

Secondo me: «272. PER VEDERE LA TV IN PACE. Meglio la galera della sorella. Un condannato per spaccio di droga sta scontando la pena agli arresti domiciliari. Non a casa sua, ma come ospite della sorella, in un quartiere di Roma. Trascorre le sue giornate prono davanti al televisore, con estremo fastidio della sorella che non lesina rimbrotti. All'ennesima lite, il condannato scappa per recarsi alla più vicina caserma dei carabinieri e per chiedere di essere riportato in galera, dove potrà finalmente vedere la tv in santa pace» - di Mina, La Stampa, Sabato 20 Agosto 2005
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