Mina

223. Specie da salvare:

L'ARCA DI NOÈ SENZA IL DILUVIO
224. Verso le Olimpiadi: VINCA IL MIGLIORE, NON IL PIÙ FURBO
7 Agosto 2004

 

di Mina


Avremmo dovuto cominciare prima. Quando il campionario era completo. Ma allora eravamo impegnati in altre faccende e, invece di contemplare gli animali che scorrazzavano liberi nell'Eden, ci perdevamo dietro una certa mela, origine, pare, di tutti i nostri guai.

Poi, qualche specie cominciò a perdersi già durante le veloci operazioni di imbarco sull'arca. Non deve essere stato semplice per Noè controllare che tutte le coppie di animali si stipassero al meglio nel barcone che doveva sfidare il diluvio. Gli "scienziati", poco dopo, si mettevano a studiare il mistero del calore del sole, dei capelli che incanutiscono, il miracolo del fuoco, dei tuoni, della pioggia, i segreti delle stelle che si espandono nello spazio ed altre cosette di prima urgenza. Ci sono voluti milioni di anni per arrivare ad occuparsi di nuovo degli animali a rischio di estinzione e per immaginare qualche concreto metodo per evitare di perdere per sempre l'orice dalle corna a scimitarra del Nord Africa o il cavalluccio marino giallo.

Ci hanno pensato, col progetto "Arca congelata", all'Università di Nottingham, dove si raccoglieranno i campioni di Dna e di tessuti crioconservati di migliaia di specie animali a rischio di estinzione. I posteri avranno quindi a disposizione una banca genetica e, se vorranno, potranno usare il Dna per clonare gli animali che, nel frattempo, saranno scomparsi.

Gli scienziati inglesi, preoccupati come Noè, ci dicono che nei prossimi 30 anni dovrebbero estinguersi 1130 specie di mammiferi (un quarto del totale) e 1183 specie di uccelli (un ottavo di tutti volatili). Certo, qualche materialista potrà consolarsi pensando che esistono ancora 140.000 specie di farfalle. E qualche pragmatico umanista potrà anche consigliarci che sarebbe meglio pensare alla sopravvivenza dell'uomo, piuttosto che alle 20.000 diverse qualità di orchidee, di cui non sappiamo che fare.

Ma se è vero che tutta la realtà, anche quella naturale, esige rispetto, resta aperta una questione: quale sarà l'habitat che gli animali risuscitati troveranno fra migliaia di anni? La tigre della Tasmania o i serpenti della Polinesia, sopravvissuti grazie alla tecnica, rischieranno di ritrovarsi soli e sperduti in una specie di Jurassic Park e, in ogni caso, in un mondo che non riconosceranno più come loro. Il che porterebbe a ritenere che la strada da percorrere sia un'altra: conservare l'ambiente, prima ancora delle specie che lo abitano. E un simile approccio al problema avrebbe anche il vantaggio di contribuire alla qualità della vita dell'uomo.

"Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne contempli la tua filosofia", diceva Amleto a Orazio. Ci sono più specie viventi, in natura, di quante riusciamo a classificarne. Che la natura faccia il suo corso. E se anche perdiamo le tracce della formica del Borneo, del mandrillo di Bula Bula o del vermetto di Abbiategrasso, pazienza.

 

 

Secondo me: «223. Specie da salvare: L'ARCA DI NOÈ SENZA IL DILUVIO» - di Mina, La Stampa, 31 Luglio 2004
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