Mina

218. Creme pericolose:

VORREI LA PELLE BIANCA
 

 

di Mina


La ritualità mediatica di fine giugno ripropone già i suoi cliché. Non è più necessario sorbettarsi i settimanali femminili. Anche i telegiornali di prima serata si sentono in dovere di consigliarci, con l'ausilio degli immancabili "esperti", su quali verdure indirizzare l'esigenza, o meglio l'obbligo imposto, di apparire il più abbronzati possibile. Poi, nel balletto stucchevole dell'informazione che ondeggia tra ditini monitori e allarmismi, domani ci diranno, in un raptus di ovvia amenità, che tra melanina e melanoma c'è qualche preoccupante relazione. E a fine agosto l'ennesimo esperto ci dispenserà ricettine fai-da-te per conservare qualche brandello di ustione epidermica da mostrare ai colleghi di lavoro al rientro dopo le ferie. Alla nostra fantasia resterà solo il compito di dimostrare "coram populo" che la tintarellica coloritura ha preso forma sotto i raggi nobili di un'isoletta greca o di Porto Cervo, e non tra gli effluvi nazional-popolari di Cesenatico.

Poi c'è l'altra metà del mondo: quella che colorata lo è già. Anche troppo. E che vorrebbe schiarirsi la pelle, anche ricorrendo a metodi pericolosi. Qualche giorno fa, nel porto di Voltri, la Guardia di Finanza ha sequestrato mille confezioni di idrochinone, una sostanza che sbianca la pelle e che l'Ue ha bandito perché cancerogena. Erano destinate agli immigrati che usano quella crema per trovare lavoro o una casa in affitto con un'apparenza che li renda più accettabili.

Siamo ben lontani da un desiderio di imitazione di Michael Jackson, che pervicacemente insiste nell'accentuare il livello di eburneità della sua mozzarellica carnagione, e che, secondo un mio amico, avrebbe bisogno di farsi qualche lampada. Al contrario, in un clima di sospetto montante per un'epidermide troppo olivastra e troppo simile a quella dei terroristi islamici, c'è chi decide di difendersi. È questione di accettazione di sé e da parte dei "non colorati" italiani. E quindi, forse, di sopravvivenza.

Addolora considerare che il colore non conta se uno si chiama Naomi Campbell o Fiona May, mentre è ritenuto un elemento discriminante se una donna di Capo Verde cerca un lavoro come badante. Le scelte, come al solito, vengono fatte prescindendo dalle specifiche capacità e dall'effettiva abilità operativa.

E allora rassegniamoci a continuare a vedere i maniaci dell'abbronzatura insistere ad apparire con la camicia sempre più slacciata e col petto sempre più bronzeo. Per risolvere definitivamente il problema, consiglierei un trapianto-scambio di melanina con un aspirante muratore del Senegal o con i pigmenti di un clandestino della Somalia.

A meno di accettarsi ed accettare l'altro per quello che è. E decidere che non esiste altra soluzione per i ghetti fisici e mentali che ci siamo costruiti, se non quella di eliminarli.
 

 

Secondo me: «218. Creme pericolose: VORREI LA PELLE BIANCA » - di Mina, La Stampa, 26 Giugno 2004
Click qui per tornare indietro