Mina

198. Il Festival di Sanremo

IN DIFESA DI CHI CANTA
 

 

di Mina


Eppure ci mettono la faccia. E potrebbero anche perderla. Parlo dei cantanti. Allora perché non rispettarli a dovere nell’impegno, cosi come al circo nani, clown e bestie sono rispettati perché sono loro “lo” spettacolo? Si vede che a Sanremo è diverso.

Quasi tutto, quasi tutti hanno valore tranne loro. Referenze incrociate e vicendevoli rendono visibili gli avventori del Festival e non i protagonisti. Alcuni, i “giornalisti specializzati”, i “critici”, voraci, con la testa china sul piatto per leccarne il fondo, siedono al banchetto della popolarità senza rischio. Alzano gli occhi solo per spiarsi. E sono tutti intelligenti, acuti, perché definiscono e valutano e disapprovano e castigano. E gustano il loro ruolo di inventori di quasi niente. Altri, storditi dal loro stesso talento, onnipotenti fino a rischiare di perdere di vista il buon gusto, fanno il loro lavoro molto bene, a tratti esageratamente bene, e non hanno la colpa di essere diventati loro “lo” spettacolo. Anzi è un merito sudato e riconosciuto.

Ma i cantanti? Un pretesto o un contorno. Siamo carne da cannone. Siamo bersagli fin troppo comodi con il nostro sogno negli occhi, con la musica che ci solleva da terra e ci stacca beneficamente dalla realtà. E sempre la solita storia: se cantiamo non pensiamo, non capiamo, non parliamo, non abbiamo cultura. Siamo guardati sempre con quell’arietta di sopportazione, di supponenza. Un po’ come fenomeni da baraccone, come quelli che fino a poco tempo fa venivano esposti nelle fiere di paese perché un difetto congenito, come il nanismo o l’acromegalia, li rendeva “spettacolari”. Anche noi, povere bestie, siamo nati con un difetto o con una dote congenita di cui non abbiamo né colpa né merito.
Certamente siamo diversi. Forse siamo inflazionati e il nostro destino di sovrannumerati ci fa assomigliare al digiunatore di Kafka. Che tutti andavano a vedere, ad ammirare, a spiare, finché le abitudini della gente cambiarono e il digiunatore perse il suo pubblico. “In questi ultimi decenni l’interesse per gli artisti del digiuno si è molto affievolito. Mentre prima era decisamente proficuo organizzare grandiosi spettacoli di questo genere, oggi sarebbe del tutto impossibile. Erano altri tempi quelli. ... Per il digiuno l’impresario aveva fissato un periodo massimo di quaranta giorni ... Più a lungo il pubblico non rispondeva più ... Alla fine ci si abituò alla stranezza di voler convogliare l’attenzione del pubblico su un digiunatore ... Lui poteva anche digiunare nella maniera più perfetta, ma nulla poteva più salvarlo, la gente gli sfilava dinanzi senza accennare neanche a una sosta”. Continuò a lavorare in un circo, ma anche qui la gente non mostrava più interesse per lui. Quando perse tutto il suo pubblico, venne trovato morto dai guardiani.

Ma a dispetto della fine delle mode e dei riti, noi abbiamo un alleato invincibile. La musica.
 

 

Secondo me: «198. Il Festival di Sanremo. IN DIFESA DI CHI CANTA» - di Mina, La Stampa, Sabato 6 Marzo 2004
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