Mina

197. Schiavi delle griffe:

LA FUGA IMPOSSIBILE DEI RAGAZZI IN DIVISA
 

 

di Mina


E io dico che non ci riusciranno, purtroppo. In una vecchia fabbrica, concessa dal Comune di Torino al Gruppo Abele, l’associazione Acmos sta organizzando uno stage di due settimane per cercare di insegnare ai giovani come liberarsi dalla mania della griffe. Con uno stile di vita all’insegna della più rigorosa parsimonia, si proiettano film e spot, si fanno autoanalisi di gruppo.

Non so se ci riusciranno. L’obiettivo mi pare evanescente. Il fenomeno da debellare è sfuggente perché semanticamente e concettualmente impreciso.

L’oggetto firmato, con firma visibile, è stato ideato per distinguere, ma attualmente esprime una sublime forma di omologazione. Il “dernier cri” si consuma precipitosamente e, nell’arco di due mesi, si sprofonda dall’eccellenza al consueto.

La mania della griffe assomiglia a tante altre stranezze patologiche che infestano l’umanità dell’acritico consumismo. Vi partecipano, con uguale colpa o indifferenza, uomini e donne di tutte le età. Nei pezzi ricchi della Terra qualcuno o qualcosa ci confonde. Specialmente quelli con poca inventiva e, sorprendentemente, gli adolescenti soffrono dei nuovi malanni della civiltà dell’ossessione.

La sconclusionatezza risiede nella mancanza di voglia di libertà più che nella mancanza di possibilità di libertà. Così, inaspettatamente, anche senza dittatore pochi riescono a non cedere al fascino della divisa e del distintivo. Epilogo tragico, già profetizzato trent’anni fa dal solito Pasolini: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Oggi l’adesione ai modelli imposti dal Centro è totale e incondizionata. La ‘tolleranza’ della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana”.

Senza sapere riconoscere la porta, l’autogol è inevitabile. Il risultato è spaventoso. Pashmine o kefiah, eskimi o loden, rosso Valentino o blue jeans, Armani o Versace, un tatuaggio o un piercing, teste pelate o treccine e altri distintivi, finiscono per essere gli elementi di identificazione e di riconoscibilità, visto che le parole e le idee si sputtanano nei “geroglifici” della comunicazione cellulare.

Ognuno degli irregimentati griffevictims è convinto di scegliere e invece soccombe, non si cura della propria essenza perché troppo intento alla buona riuscita della propria rappresentazione. Ma almeno entrerà in un quadro dove, con la faccia del Che, con un seno rifatto da un grande chirurgo, con un paio di scarpe Nike o circa, con una borsa con firma vera o tarocca, troverà i suoi simili, identici o somiglianti e marcerà con loro.
Aveva sciaguratamente ragione Oscar Wilde: “Non c’è alternativa: o si è un’opera d’arte o si indossa un’opera d’arte”.
 

 

Secondo me: «197. Schiavi delle griffe: LA FUGA IMPOSSIBILE DEI RAGAZZI IN DIVISA» - di Mina, La Stampa, Sabato 21 Febbraio 2004
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