Mina

193. Invenzione giapponese:

FATEMI SALIRE SULLA MACCHINA DEI SOGNI
 

 

di Mina


Ci vorrà pure una canzoncina, a mo’ di jingle, per la probabilissima campagna pubblicitaria della “macchina dei sogni d’oro”, l’ultimo marchingegno pensato dai giapponesi. Troppo scontato mostrare il bianco e nero del filmato di Martin Luther King che, con sguardo trasognato, urla “I have a dream” e poi far vedere che i suoi sogni si sono avverati. Troppo scontato e, in fondo, abbastanza falso, visto che le conquiste vagheggiate dal reverendo King restano in massima parte irrealizzate in molti paesi del mondo. Forse sarebbe meglio ricorrere a uno spot con Modugno, in sottofondo, che canta “Penso che un sogno così non ritorni mai più; mi dipingevo le mani e la faccia di blu, poi d’improvviso venivo dal vento rapito e cominciavo a volare nel cielo infinito”. E poi, con una rapida dissolvenza, suggerire che l’ingegnosa macchinetta ha fatto diventare realtà l’improbabile volo bluette.

Ovvio che si tratti di un’esagerazione pubblicitaria. In realtà, la macchina, dal costo contenuto di 110 euro, permette di programmare i sogni e di aiutare ad immaginarli come se fossero scritti da un grande sceneggiatore, illuminati da un grande datore di luci, accompagnati da una grande colonna sonora e olfattiva, e soprattutto con la supervisione di un grande regista che dirige grandi attori.

Non sto a raccontarvi come funziona il marchingegno onirico. Ne potremo riparlare dopo che l’avrò provato, superando un naturale sospetto verso tutte le diavolerie, soprattutto di provenienza nipponica. Sì, perché avrei un piccolo infinito elenco di cose che vorrei sognare. Evitando di affidare alla casualità le immagini che di notte s’affacciano alla mente ed evaporano al mattino, mi piacerebbe sognare di scavalcare il limite del tempo, per vedermi a fianco di Leonardo, come una semplice aiutante delle sue creazioni. Fare l’accordatrice del clavicembalo di Bach. Vedere le facce di Adamo ed Eva con tutta la delusione dipinta sul loro volto per non aver potuto godere del paradiso terrestre. Diventare una mosca per vedere Puccini mentre prova la Butterfly. Trasformarmi in una goccia di sangue per addentrarmi nei sentieri mentali di Picasso che dipinge “Les demoiselles d’Avignon” o nei meandri tortuosi di un Biscardi qualsiasi per vedere che cosa succede mentre processa il calcio e massacra il lessico.

“La luna ed i grilli normalmente mi tengono sveglia, mentre io voglio dormire e sognare”. Un motivo in più per provare la macchinetta giapponese. Ma c’è un dato che l’invenzione non può garantirmi. Posso anche volare nel tempo e nello spazio con la beatitudine dei sogni a comando. Ma
il vero problema è il risveglio. Percorrere l’infinità delle immagini benedette può essere solo una bella illusione. L’unica possibilità di permanenza è che al mattino ci sia qualcuno a cui partecipare il mio viaggio. “A chi racconterò tutti i sogni miei?”.
 

 

Secondo me: «193. Invenzione giapponese: FATEMI SALIRE SULLA MACCHINA DEI SOGNI» - di Mina, La Stampa, Sabato 24 gennaio 2004

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