Mina

191. I cinquant’anni:

CARA TELEVISIONE TI AMO E POI TI ODIO
 

 

di Mina


“Se nella tua stanza mi vedi a distanza, che dolce che strana emozione, questa è la televisione, quasi la felicità”.

Quasi la felicità. Ma sì, perché no? Oggi, come in questa deliziosa canzoncina d’epoca, anch’io dico: “Viva la televisione”. Che ci sittera a tempo pieno, senza respirare e senza riprendere fiato per capire che cosa stia facendo. Che si è appollaiata sul trono delle nostre serate e domina come imperatrice delle nostre case, sempre più vuote di pensieri e sempre più inzuppate di rumori. Che ci inghiottisce il tempo e annulla lo spazio. Che, a seconda dei casi, vomita pattume o fa spuntare fiori nel deserto. Che ci penetra nell’iride e ci trasforma in animaloni tecnologici che, brandendo telecomandi, si deliziano col saltapicchio.

Che ci fa sembrare tutto possibile, tanto se è capace quello ... figurati io ... Che ci tiene svegli quando vorremmo dormire e ci fa dormire quando vorrebbe tenerci svegli. Che cerca pochissimo e trova ancora meno. Che si cala i pantaloni di fronte al primo possibile fenomeno da baraccone. Che non ricorda gran che di sé. Che ricorda troppo, ma senza senso critico e senza volontà costruttiva.

Che ci ha consegnato in toto nelle mani delle merendine, dei pannolini, dei sofficini, dei rigatoni, delle schiume da barba, dei dentifrici, degli adesivi per dentiere che sono ormai i suoi veri, unici direttori, amministratori e creativi. Che non potrà più tornare indietro, ma neppure andare avanti, temo. Che in qualche piega ha stelle abbaglianti, che scappano via lasciandoci sbigottiti.
Che continua a perpetuare la mitologia dell’artificio. Che come novella Idra appare ingovernabile. Che fa ammattire legislatori, inventori di format, critici e sociologi. Che digerisce e vomita se stessa. Che maltratta il teatro, ignorandolo, e strapazza la musica, moltiplicandola a dismisura. Che non vuole censura, ma non si libera da se stessa. Che, con indifferenza, rincorre tutti e ciascuno nel tentativo dell’omologazione.

Che dissocia le divergenze in immagini polpettizzate. Che, per il suo compleanno, eccita revivalisti e vecchie glorie a mostrare memoria e indimenticabilità. Che sprona innovatori obbligati, sicuri di essere dimenticati. Che non sarà finalmente libera se non quando riuscirà a mostrare in diretta soltanto la gastroscopia del signor Rossi o la cottura dell’arrosto della signora Bianchi. Che si vergogna di aver spezzato in due il Novecento, interrompendo bruscamente la vivacità intellettuale di molti. Che ci fa vedere Bin Laden col sottofondo della canzoncina di Heidi.

Che però ci emoziona tutti, anche chi sta nel buio della sua stanzetta e vive l’anonimato della sua piccola vita, facendoci salire sul podio, sul gradino più alto, per gridare insieme: “Campioni del mondo! Campioni del mondo!”.

 

 

Secondo me: «191. I cinquant’anni: CARA TELEVISIONE TI AMO E POI TI ODIO» - di Mina, La Stampa, Sabato 3 gennaio 2004

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