Società

Elogio del Grande Fratello:

In quella casa abita la vita
 

 

di Mina


Mentre scrivo scorrono le immagini di via Caetani. Giovanni Moro risponde a Minoli. Ricorda quel 9 maggio di venticinque anni fa che per lui è stato ben più di un fallimento dello Stato. Non dice “mio padre”, dice “Aldo Moro”. E questo mi piace molto. Minoli spettinato ma perfetto, come il solito, in queste monografie che passano alle otto del mattino e che sono dei pezzi della nostra carne, dei pezzi di storia, composti con un rigore sinfonico. Nello stesso “luogo” che ha visto qualche ora fa la finale di “Grande Fratello”.


Com’è bella la televisione e alta e bassa e forte e mingherlina e insolente e superdeferente e insopportabile e lieve e sostanziosa e insignificante e prepotente e bonaria “e aspra e forte che nel pensier rinova la paura”.


Oggi sono in buona. Viva la televisione! E viva anche “Grande Fratello”, perché no?
Un esperimento interessante che magari doveva essere osservato da psichiatri, psicologi, sociologi, comportamentisti, piuttosto che da noi che spiamo se si baciano o se litigano, tralasciando che, magari, si tratta di una grande, violenta metafora che ci coinvolge. Con la crudele brutalità di promuovere o di bocciare qualcuno non per quello che sa fare, ma proprio per quello che è. Spaventoso e affascinante trastullo al pari del pollice verso. Dove viene premiato chi dice sempre quello che pensa credendo che sia un merito e non una grande maleducazione.


Nessun altro spettacolo potrebbe durare tre mesi, ventiquattr’ore su ventiquattro, neppure se fosse costruito sulle performance dei più abili cantanti, attori, oratori, matematici, medici, atleti, eccetera. Sarebbe insopportabile una così prolungata esposizione dello spettatore alla diversità e alla conseguente tortura del senso di inferiorità che lo assalirebbe di fronte ad una così pressante proposta di talentuosità.
Gli altri programmi di real tv trovano la loro forza nella concentrazione, esasperata per contratto, delle parole e delle urla ad esprimere problemi e quasi mai soluzioni. La sopportabilità, in questo caso, deriva proprio dalla possibilità di identificazione che viene considerato il parametro di attrazione. Si vede e si ascolta umanità litigiosa, polemica, insoddisfatta, che rappresenta un mondo schiacciato da perenne disputa.


Il “Grande Fratello” è, invece, un programma possibile, giustificato, inutile, ma mai banale. Ed è sopportabile perché descrive per tre mesi, insieme a tutto il resto, anche i fatti comuni, come la noia, la fame, la gioia, il sonno. Come sarebbe più accettabile un talk show se, tra stizziti alterchi su qualsiasi argomento, ci mostrasse che, comunque, un signore di sinistra e uno di destra si devono alzare per fare la pipÌ, abbandonando per almeno due minuti il solito teatrino.
Un piccolo cenno sugli “abitanti della casa”. Luca è bello da spaccare il televisore!
 

 

Società: «Elogio del Grande Fratello: In quella casa abita la vita» - di Mina, La Stampa, Sabato 10 maggio 2003

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