Società

«Benigni, magia nel deserto tv»
 

La recita  del XXXIII canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri in TV. Un poeta che spiega poesia. Nella sua voce e negli occhi c'è solo coscienza. L'incanto è la sua e la nostra commozione nell'essere stati vicini al perfetto con sufficiente devozione, rispetto, invidia e desiderio.

Mina



Doveva succedere. Anche nel deserto spunta un fiore. Si potrà dire che il deserto non è propriamente il posto più adatto per un fiore. Eppure è in grado di farlo spuntare. Così la televisione, demonizzata come mezzo inconsistente e sciocco, si rivela per quello che è. Un semplice mezzo. Senza aggettivi. Se mai tanto schifosa se fatta da schifosi, tanto ottusa se governata da inetti, tanto diseducativa se usata solo per réclame e per gloriare se stessa.

Poi un giorno appare Benigni. E il Paradiso. E la regola del fiore nel deserto trova la sua applicazione. Qualche tiratina satirica un po' più elegante delle solite, a proposito dei soliti politici con le loro brutture. Guardo con divertita diffidenza. Poi il miracolo. Un poeta che spiega poesia. Un linguaggio comprensibile. Un argomento trasversale alle ideologie. Un ritmo entusiasmante. La complessità di Dante viene scomposta per potercela porgere completamente comprensibile nella sua forma e nei suoi significati. Benigni conosce a memoria i versi e immagino sia colmo e sicuro delle sensazioni che gli suscitano. Eppure si volge ogni volta a leggere, come fosse incredulo della sua memoria. E poi ci guarda stupito della perfezione che, per l'ennesima volta, ha trovato nella terzina. Il miracolo ripetuto è in Dante, trasferito nel bambino Benigni e rigirato a noi per appassionarci e commuoverci. Beviamo distintamente ogni goccia. Il concetto di Dio, la nostra limitatezza di adulti, la nostra povertà se non ci allineiamo all'estasi.

Ho pensato alla mia emozione e alla emozione di tutti i fortunati collegati. Ai bambini affascinati dal loro Pinocchio che sa dei Santi, della Madonna, dell'amore, delle similitudini, delle rime. Benigni non si compiace della sua cultura né della sua abilità. Sembra stare soltanto con noi a godersele. E per questo non assomiglia a nessuno, ma proprio a nessuno visto finora nel poverissimo elettrodomestico. Durante l'ora magica ciascuno di noi ha adottato Benigni come proprio personale Virgilio o San Bernardo per farci da guida nel capire un po' di più su un po' più di cose.
Alla fine, la recita a memoria del XXXIII e ultimo canto di cui, a questo punto, conosciamo già i segreti dentro e tra le righe. Nella sua voce e negli occhi non c'è attoriale voglia di rappresentazione, ma soltanto coscienza. L'incanto è la sua e la nostra commozione nell'essere stati vicini al perfetto con sufficiente devozione, rispetto, invidia e desiderio.

Il giorno dopo ci hanno comunicato che durante la trasmissione non ci sono state interruzioni pubblicitarie. Non ce ne eravamo accorti. Non volevamo accorgerci di niente se non del piacere. E non soltanto intellettuale. Ci hanno pure informato sull'ascolto e sullo share. Eravamo forse troppi o troppo pochi? Chissenefrega. Dante Alighieri-Benigni è utile per tutti, ad Est o a Ovest di Greenwich, sopra e sotto l'equatore, sui poli schiacciati, per global o no-global, maggioranze, minoranze, razze in via di estinzione, dittatori, oppressi, eccetera. È un bene dell'uomo.

 

Società:  «Benigni, magia nel deserto tv»  - di Mina, La Stampa, sabato 28 dicembre 2002

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