Società

 "L’estate maledetta dei cani abbandonati"
 

Non abbiamo due cuori o due diverse sensibilità, una per gli uomini e un'altra per gli animali. Nella crudeltà verso gli uni e gli altri, l'unica differenza è la vittima.

Mina



L’uomo è lo stesso. Lo stesso che «sistema» i propri genitori negli ospizi. Lo stesso maledetto che abbandona la madre o il padre in un posto che non è casa, nel momento più delicato della vita. E non si fa più vedere. È quello lì, lo stesso, quello che abbandona in estate gli animali. E li lascia alla fame, alla disperazione, alla morte. Per andare in vacanza. Ci sarebbe da augurarsi che gli si bucasse il canotto in alto mare, che si addormentasse con la sigaretta accesa e gli si bruciasse tutto, che cascasse giù da un dirupo, che gli scoppiasse in faccia il salvagente, che gli rubassero la macchina con tutte le valigie, che gli si troncassero le gambe cadendo dalla bicicletta, che gli cascassero tutti i denti e tutti i capelli. Almeno.


Come se non bastassero i record negativi su stupri, violenze ed altri episodi di varia disumanità, quest'estate abbiamo battuto anche quello relativo al numero di animali abbandonati. Centotrentamila, con il venti per cento di aumento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. E a chi snobba la questione, a chi insegue sempre il «benaltrismo» per spostare l'interesse su altro, bisognerebbe ricordare che almeno 4000 incidenti stradali, con 400 persone ferite e 20 morti, sono riconducibili all'abbandono di un animale. A conferma del fatto che non c'è scelta violenta che non abbia come tragica conseguenza un'altra fetta di dolore e di morte.
Non abbiamo due cuori o due diverse sensibilità, una per gli uomini e un'altra per gli animali. Nella crudeltà verso gli uni e gli altri, l'unica differenza è la vittima.


Ci sono genitori che regalano un cucciolo ai figli, con la stessa indifferenza che avrebbero nel regalare un computer o un trenino elettrico. E nel momento della vacanza, periodo in cui si sente come un dovere irrinunciabile il proprio spazio di totale libertà, lo si abbandona al proprio destino. Il più delle volte inesorabile e mortale. Certamente quei genitori non avranno mai guardato in faccia quel cane, non avranno mai cercato di entrare in rapporto con l'aria attenta e curiosa di chi, diversamente da loro, se ne sta col muso rivolto all'insù nel tentativo di ascoltare e di capire le nostre parole, come fossero segni di una lingua straniera.


I nostri animali sono lì, senza muovere critiche, senza volontà di interferenza nei nostri confronti, ma dignitosissimi nel lasciarsi rivestire delle nostre stesse emozioni. Si accorgono dei nostri attimi di stanchezza, di rabbia o di serenità e, senza un apparente tornaconto, diventano lo specchio del nostro stato d'animo. Con la stessa naturalezza di rapporto, con la stessa innocenza di un bambino che si fida di suo padre.


Si potranno anche predisporre aree per cani e gatti sulle spiagge. E magari inasprire le pene per chi li abbandona. Ma, al solito, più delle leggi dovrebbe valere la coscienza. Quella che impedisce di far del male a un essere indifeso. Quella che fece dire a Mark Twain: «Il cane è un gentiluomo. Spero di andare nel suo Paradiso, non in quello degli uomini».
 

Società:  "L’estate maledetta dei cani abbandonati"  - di Mina, La Stampa, 7 settembre 2002

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