Società

Senza bambini non c'è speranza 

Mina



Di quali italiani stiamo parlando? Di quelli vivisezionati e incasellati nei numeri e nelle percentuali del censimento Istat. Sia chiaro: meglio la certezza dei numeri, rispetto al braccio di ferro anche sul computo dei partecipanti alle manifestazioni sindacali. Meglio i dati precisi al centesimo, piuttosto che la neomatematica, che equipara un addensato di settecentomila persone ad una folla oceanica di tre milioni. O viceversa.


Un censimento ci ha semplicemente fotografato. Più donne, più stranieri, nuclei familiari più ridotti, più case, metropoli che si spopolano a tutto vantaggio dei centri medio-piccoli. E soprattutto meno bambini. Verrà poi il momento di scendere alla radice dei numeri per cercare di capire di che razza di italiani stiamo parlando.
Oltre i numeri, infatti, ci sono le scelte, i criteri, i comportamenti. Più delle cifre valgono gli aggettivi. Il numero 2.459.776 per indicare gli abitanti di Roma, o il più rassicurante numero 33 per conteggiare i residenti di Morterone, non dicono nulla se non sono declinati secondo il linguaggio degli atteggiamenti e dei princìpi che ispirano la vita reale.


E magari si scoprirà che siamo nevrotici o insoddisfatti, cialtroni o eroici, inconcludenti o frenetici, villanzoni o civili. Su tutto, però, c'è un dato che allarma. Le nascite sono sempre più rare, al punto che anche Ciampi, esemplare in estinzione di politico dotato di grazia e di equilibrio, si è sentito in dovere di lanciare un appello a fare più figli. Ma
il dramma è che la denatalità è il risvolto numerico di una preoccupante mancanza di speranza. E infatti non è difficile comprendere quali possano essere le motivazioni che ci rendono così riluttanti a procreare.


Se la Terra fosse così lucida e colorata come i mappamondi di vetro con la lucina dentro, ci verrebbe voglia di farne dono a bambini futuri. Sarebbe consolante guardarli mentre si addormentano, sicuri che il perno tra i poli non cigola. Ma, a causa degli sconquassi e delle crepe che le infliggiamo, la Terra fa così fatica a rimanere rotonda che ci passa la voglia di consegnare ai posteri una eredità così mal ridotta.

Mina, La Stampa,  30 marzo 2002

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