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Un mese per allattare

prima di essere uccisa 

MINA

Non è lontana. Se guardo bene è qui. Vicinissima. Seduta sul divano dove ho appena spostato il lavoro a maglia. La televisione «fraternamente coinvolta» suona più ignara ed assente che mai. Ma io no. Non mi sono ancora abituata all’orrore quotidiano che sfonda l’anima.


Safya Hosseini Tungar-Tudu è una ragazza nigeriana di trent’anni, senza marito. Ha avuto un bambino al di fuori del matrimonio e dunque, per la legge fondamentalista islamica, che nel suo paese ha valore di legge penale, a fine dicembre sarà posta in una buca, seppellita sino al petto e poi lapidata a morte dalla gente del suo stesso villaggio. Chiusa nella sua capanna, lei allatta il bambino che è diventato la sua condanna a morte. Le hanno dato il permesso di nutrirlo per qualche settimana, poi la trascineranno nella fossa e la massacreranno. Non mi abituo all’orrore. Ogni volta che un boia ricompare, mascherato di certezze o di integralismi, è come se fosse la prima volta. Mi sembra sempre più impossibile che possa ancora manifestarsi, nel suo crudo rituale, il perpetuarsi dell’odio. Eppure succede sempre di più. Sempre più spesso. A dispetto dei proclami e delle ripetute affermazioni dei diritti fondamentali dell’uomo.


Accade a 10.000 chilometri, ma è come se accadesse qui, appena fuori da casa mia. Anche se sta nevicando, anche se ho appena finito di impacchettare i regali di Natale, quella capanna affuocata dal sole della Nigeria è come se fosse giù in cortile. Forse dovrà venire anche il tempo di rimettere seriamente in discussione tutti gli oscurantismi, i fondamentalismi, i pregiudizi sul cui altare vengono sacrificati migliaia di uomini. Certo, si può essere soddisfatti se le donne afghane possono andarsene ora liberamente in giro senza la prigione del burqa. Ma ogni operazione militare, se vorrà essere efficace, non potrà fingere di non vedere che altre centinaia di milioni di uomini e donne continuano ad essere costrette a piegare la testa sotto leggi e tradizioni che sembrano intangibili. Ci sarà tempo perché l’orrore sostenuto dal pregiudizio ideologico ceda finalmente il passo al riconoscimento del sacrosanto rispetto dell’uomo. Ora, però, c’è una donna che allatterà fino alla fine del mese. E poi sarà stritolata da uno stupido e orribile meccanismo.


Tutti possiamo fare qualcosa, ad esempio, inviando una e-mail all’Ambasciata di Nigeria a Roma (embassy@nigerian.it ). Potrebbe anche non servire a niente, se l’ottusità umana avrà ancora il sopravvento. Ma servirà soprattutto a noi stessi, per capire che non si può uccidere sventolando stendardi ideologici. E soprattutto per evitare di rimanere ai bordi di quella fossa, complici, a contemplare l’ennesimo delitto dell’intolleranza, dell’ignoranza, della menzogna.
 

Mina
L
a Stampa,  15 dicembre 2001

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