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Lunga vita al cuore

 

MINA

Da un po’ di tempo ne sento parlare, con una certa continuità, in casa. E proprio Piero Anversa, che mi onora della sua amicizia e apprezza il mio risotto, qualche tempo fa ci diceva del suo impegno in un progetto strabiliante al quale sta lavorando da anni. Rigenerare il cuore? Forse. O fare in modo che si rigeneri. Stranamente, per questa idea non si era sviluppato in me il solito collegamento riflesso con l’iconografia del gabinetto del dottor Mabuse né del laboratorio di Frankenstein. Forse perché questa volta la mia attenzione e la mia curiosità erano in buone mani, a differenza da quanto succede in occasione di notizie analoghe, solitamente mediate da furboni ciarlatani o da mediocri moralisti.

Il desiderio che fosse dimostrabile che l’uomo contiene le potenzialità per rigenerare il proprio cuore, più che per egoismo e ambizione di immortalità, corrispondeva al tifo per un ricercatore italiano, che, ahinoi, naturalmente lavora negli Usa. E ho stretto i pugni perché si concretizzasse il suo sogno e il mio campanilismo fosse soddisfatto. Finalmente la pubblicazione dei risultati dell’esperimento sulla rivista Nature e quindi foto e articolo sul New York Times. Riconoscimento mondiale della comunità scientifica e anche di tutta la stampa.

Adesso possiamo anche pensare che neppure l’infarto possa colpire il cuore senza avere già a disposizione l’opportuno rimedio. E non c’è bisogno di scomodare, per questo, gli arzigogoli etici di chi pretende di controllare passo dopo passo la buona fede del progresso scientifico. Non si tratta di rubare la vita di altri nati o non nati, né quella di morti con organi ancora vitali. Il principio terapeutico derivato dalle ricerche di Piero Anversa è basato sul fatto che in noi è presente una riserva di potenza incommensurabile. Il midollo osseo contiene cellule staminali pluripotenti, eclettiche, fornite della memoria di come ci siamo formati e di come ciascuna parte di noi si è formata. Queste cellule possono accorrere o essere convogliate a riparare gravi danni ai tessuti, come il muscolo cardiaco.

E’ stato dimostrato che il loro potere non deriva da una capacità camaleontica di trasformarsi mascherandosi, bensì da quella di «diventare» realmente miociti in grado di ricostituire forma e funzione. Ciò che abbiamo sempre usato come metafora ci viene oggi mostrato come evidenza scientifica. Proviamo dolori che ci spezzano il cuore, ma sulle cicatrici di una mancanza o di un rimpianto o di un rimorso siamo sempre in grado di ricostruire persino l’amore.

In una misteriosa simbiosi, il progresso medico sostiene e conferma la certezza dell’esperienza, al punto che non dovrebbero più sembrare solo generiche espressioni letterarie le parole di de La Rochefoucault: «Nel cuore umano c’è una genesi perpetua di passioni, e il soccombere dell’una rappresenta quasi sempre l’insediarsi di un’altra». E dovrà forse ricredersi Kahlil Gibran, che scrisse:
«Il grande uomo ha due cuori: l’uno sanguina, l’altro sopporta».

C’è un unico cuore che sempre si rigenera.

Mina
La Stampa,  7 aprile 2001