Meditazioni

Questi è il Figlio mio, l’amato

 

di Vincenzo La Gamba

Credo che il brano evangelico di questa seconda domenica di quaresima sia uno dei più profondi per capire meglio il ruolo di Gesù che essi è incarnato per noi; è venuto in terra per essere uno come noi, ma in verità si trasfigura nel ruolo divino per fare capire ai Suoi Apostoli che fino in quel momento non si ravvedevano che Gesù è il figlio di Dio.

Il defunto Papa Giovanni Paolo II ha fermamente voluto istituire come “nuovo” nella recita del santo rosario il mistero della Trasfigurazione di Gesù. Lo ha definito il mistero della “LUCE” , inserito appunto nel rosario del giovedì fra i misteri della Luce (al quarto posto).

Essendo un mistero é giusto chiedersi alcuni perché?

Cominciamo nel dire: perché Gesù ha condotto sull'alto monte i tre Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni? Per soddisfare la loro curiosità? No. Per dimostrare la sua potenza? Sicuramente no.

Per manifestare la sua identità? Certo che si! Questa è la spiegazione più persuasiva. Gesù infatti non si trasforma, ma si “rivela.”

Le parole che vengono dal cielo recitano: "Questi è il mio Figlio prediletto! Ascoltatelo!". Gesù nella Trasfigurazione trova conforto per la sua missione; gode dell'approvazione di Dio Padre e dà ai suoi discepoli un supplemento di speranza, in vista delle prove che avrebbero dovuto affrontare.

Fermiamoci un attimo sulla virtù della speranza. San Pietro è tanto entusiasta della situazione che propone: "Facciamo qui tre tende", per rimanerci.”

Pietro sperava che quel momento non finisse più. Ma era questa una speranza fondata? Qual è la dimensione cristiana della speranza?

Finché c'è vita, c'è speranza, si dice. La speranza è stata paragonata alle onde del mare. Come un'onda dietro l'altra si rompe sulla spiaggia, ma il mare non si esaurisce, così speranze dietro speranze svaniscono, ma il cuore continua sempre a sperare. Le onde si abbassano e si sollevano, questa è la vita del mare; di giorno in giorno le speranze si riformano dopo essere cadute, questa sembra la vicenda dell'umanità. D'altra parte una vita senza speranza è come una barca a vela senza vento.

La speranza è una virtù che sta in mezzo tra la fede e la carità.

É preceduta dalla fede e la fede le dà un contenuto: ci dice che cosa è opportuno sperare con fondamento.

Una fede retta garantisce una speranza certa. Impedisce alla speranza di perdersi in vane aspettative e invece la indirizza sulla via della vera beatitudine. La fede insegna alla speranza a bussare alla porta giusta. Da questa fede che istruisce la speranza nasce poi la carità, cioè la volontà di far partecipi anche gli altri di un dono che si attende per certo.

Come contro la carità, anche contro la speranza ci possono essere dei peccati. Essi sono di due generi: la disperazione e la presunzione. Per la disperazione, l'uomo cessa di sperare da Dio la propria salvezza personale, gli aiuti per conseguirla o il perdono dei propri peccati. Questa disposizione d'animo si oppone alla bontà di Dio, alla sua giustizia - il Signore, infatti, è fedele alle sue promesse - e alla sua misericordia.

All'estremo opposto troviamo la presunzione. Ci sono due tipi di presunzione. O l'uomo presume delle proprie capacità (sperando di potersi salvare senza l'aiuto dall'Alto), oppure presume della onnipotenza e della misericordia di Dio (sperando di ottenere il suo perdono senza conversione e la gloria senza merito). Dio perdona. Ce lo ricorda sempre Papa Francesco nelle sue omelie come un disco rotto. Ma e’ vero? Certo che si! Perdona quando un cuore e’ convertito a Dio; quindi un cuore pentito equivale ad un perdono incommensurabile di Dio.

La conoscenza della propria miseria senza essere arrivati a capire la misericordia di Dio genera la disperazione. La conoscenza di Dio senza la conoscenza della propria miseria genera l'orgoglio. La conoscenza di Gesù Cristo sta tra i due estremi, perché in essa troviamo Dio e la nostra miseria.

Nella Trasfigurazione abbiamo questa dimostrazione: Gesù Cristo è un Dio a cui ci si avvicina senza orgoglio, e sotto il quale ci si abbassa senza disperazione.

 

La Liturgia di Domenica 1 Marzo 2015, II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
 

Vangelo

(Mc 9,2-10)
Questi è il Figlio mio, l’amato
 

 Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
 

La Gamba Vincenzo - Meditazioni: «Questi è il Figlio mio, l’amato» New York, La Liturgia di Domenica 1 Marzo 2015, II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)

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