Meditazioni

Chi si umilia sarà esaltato;
Chi si esalta sarà umiliato

 

Vincenzo La Gamba

Come esiste il ricco ed il povero, il bello e il brutto, il nero ed il bianco per Gesù esistono due religiosità che, guarda caso, sono enfatizzate nell'odierno brano evangelico di Luca. È la parabola del fariseo e del pubblicano, cioè di chi intende di essere più gradito a Dio. Raccontandola Gesù pensava ad "alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri".

Che male ha fatto il fariseo? Cosa di buono ha fatto il pubblicano? Come si desume dalla conclusione di questa parabola, il suo accento teologico cade soprattutto sulla misericordia di Dio. Il fariseo incarna il modello dell'uomo autosufficiente che prega Dio con autosufficienza. Sol perché egli prega Dio aspetta da Lui il ripagamento dei suoi meriti, cioè digiuna due volte la settimana, anche se per legge sarebbe obbligato a digiunare solo una volta all'anno, nel grande giorno dell'espiazione. Inoltre paga le tasse su tutto ciò che possiede. Poi dice di non rubare, non commette nè ingiustizie nè adulterio.

Siamo di fronte ad un pio uomo, una meraviglia di uomo religioso, dite voi. Ma non è così perché egli "converte" in autoglorificazione questa religiosità. La cosa peggiore è che "disprezza gli altri", non come lui, specialmente il pubblicano che è al suo fianco, perché, a differenza di lui, sono peccatori, ladri, ingiusti ed adulteri.

Vi è mai capitato di comportarvi da fariseo? Al giorno d'oggi sembriamo di essere tutti farisei quando giudichiamo i nostri nemici per disprezzarli di quello che fanno diverso da ciò che noi siamo abituati a fare.
Perché, vedete, il pubblicano (esattore di imposte a quei tempi) nella sua preghiera a Dio comincia nel riconoscersi "peccatore" davanti a Dio. Il vero credente è un peccatore, che si pente dei propri peccati perché Dio desidera che "chi si umilia sarà esaltato; chi si esalta sarà umiliato".

Sarà perché a me piace il Salmo 51 più degli altri salmi, ma esso dice: Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto ed umiliato, tu, o Dio, non disprezzi (Sal 51,19). Sarà pure che chi si pente dei suoi peccati, non solo deve avere rimorso, ma conquista la sua credibilità agli occhi di Dio.

Per cui se agissimo da pubblicani saremmo ben giustificati da Dio, perché troviamo grazia di fronte a Lui.  Notate la differenza tra il fariseo (ricco e potente) ed il pubblicano (povero e credibile).  È proprio il pubblicano che guadagna il cuore di Dio misericordioso. Il fariseo non "passa l' esame" perché, a differenza del pubblicano, ha un atteggiamento da "mercenario" nei confronti di Dio.

Sfortunatamente il "fariseismo", tradotto in termini attuali, è di moda nella nostra società e comunità religiosa. Basta paragonare se stessi ai "nuovi pubblicani" di questo mondo, cioè  emarginati, emigranti, alcolizzati, drogati, divorziati, abortisti, madri single (e così via) per dire a se stessi: "Ti ringrazio, Signore, perché io non sono come questa gente.....".   È proprio quello che non dovremmo dire o fare perché saremmo automaticamente esclusi dalla misericordia di Dio.

È importante ricordare che Gesù narrò questa odierna parabola per quelli che si ritenevano giusti, si sentivano sicuri di loro stessi e allo stesso tempo "disprezzavano gli altri" non a loro simili.

È come se ai nostri giorni esistesse lo "status sociale" per autodefinirsi meglio dell'altro perché l'altro (a suo dire) è peggio di lui. Ma quando mai!  Se questa è religiosità significa che ne esiste un' altra, il rovescio della medaglia, secondo cui chi fa del bene riceve del bene e non paragona se stessi agli altri perché non si deve cadere nella tentazione di una cattiva condotta per far valere il "fariseismo", che ha radici profonde nella superbia umana.

Diciamo pure che nessuno è esente da "fariseismo". Non tutti (ma quasi) abbiamo particelle personali di fariseismo, a volte perfino riconoscendoci peccatori senza crederlo, perché una falsa umiltà è la forma più  "raffinata di orgoglio".

L' unica cura possibile è chiedere a Dio la luce per vederci come siamo, riconoscerci peccatori e ripetere sino all' infinito: "Signore, sono io che non sono degno della Tua misericordia; abbi pietà di me".
 

Meditazioni: «Chi si umilia sarà esaltato; Chi si esalta sarà umiliato»,  di Vincenzo La Gamba - America Oggi,  New York, Domenica 24 Ottobre 2004 -  XXX Tempo Ordinario