Meditazioni

Se egli non fosse il Buon Pastore le pecore non lo seguirebbero

di Carlo Mellace, diacono



Con il Vangelo di oggi, Gesù si autodefinisce "la porta delle pecore", cioè la porta dell' ovile.  Egli è il vero  pastore che guida le sue pecore, ovvero i suoi figli, i suoi seguaci, verso i pascoli ubertosi del giardino celeste.


Questa parabola non è una allegoria.  È la descrizione di episodi della vita di ogni giorno, allo scopo di illustrare una verità di ordine superiore e messianico. Qui il modo di fare del pastore ed il suo ufficio sono definiti con precisione, in contrapposizione alla mansione del ladro e dell' assassino.


Ed in tal modo, in questo contrasto, le due figure sono messe in risalto in forma diametralmente opposta. Il pastore entra nel recinto passando attraverso la porta per farne uscire le pecore.


 Il ladro, invece, che è un assassino che agisce di notte, scavalca il recinto o la rete dell' ovile e va a derubare od a uccidere le pecore.


Il vero pastore fa udire al gregge la sua voce e lo riconosce.  Egli lancia un grido di richiamo e a quel grido le pecore si rianimano. Il pastore le chiama per nome e, dopo averle spinte fuori, cammina innanzi a loro, facendo loro sentire continuamente la sua voce, affinché non si allontanino da lui.


Se egli non fosse un buon pastore le pecore non lo seguirebbero. Anzi ne rimarrebbero spaventate e fuggirebbero.


Da questa parabola possiamo dedurre per prima cosa che coloro che appartengono al Salvatore inviato da Dio lo riconoscono con la stessa istintiva sicurezza e lo seguono ciecamente come fanno anche oggi le pecore con il loro pastore. Gesù esprime nella figura del pastore se stesso ed afferma che le pecore non sono altro che il simbolo di coloro che sono chiamati alla fede ed alla salvezza, cioè gli eletti: quelli che dal Padre sono stati chiamati al Figlio e a quelli che il Padre attira a sè.  Tutto ciò è concesso dal Padre a coloro che sono dalla parte della verità e che sono da Dio.


La figura del Buon Pastore, così  semplice, umana e suggestiva, si ammanta di un fascino eccezionale. Gesù è sempre il Buon Pastore che oggi in quella terra martoriata d' Israele, anche se moltissime pecore non Lo seguono, non ascoltano la Sua voce e non Lo riconoscono, perché attendono ancora la voce di un altro Messia, di un altro pastore che invano verrà.


Ma la voce di questo Divino Pastore è anche misconosciuta in tante altre parti del mondo orientale ed occidentale e persino in alcune comunità della Chiesa. Mai come in questo tempo abbiamo assistito a distorsioni teologiche, filosofiche, ideologiche che fanno rabbrividire. Ci sono frequenti discussioni che mettono in dubbio l' autentica autorità ed infallibilità del Papa, la sua suprema autorità sul gregge, la fiducia nel suo vicariato di rappresentanza del Cristo.


Qual è il nostro atteggiamento di fronte a questa parabola?


Qual è la nostra disposizione e disponibilità di fronte alle parola del Papa, della Chiesa, del Concilio Ecumenico? Ci lasciamo forse anche noi trascinare dalle contestazioni, dalle illusioni, dalle false interpretazioni, che sorgono qua e là persino nel mondo ecclesiastico?  Si discute, si critica, si parla di tutto e di tutti con una sorprendente alterigia, presunzione e molta superbia.


Ecco perché la parabola del Buon Pastore insegna a tutti i cristiani che bisogna essere solerti e fedeli seguaci dell' unico Buon Pastore che è Gesù.  Egli solo ha diritto sul Suo ovile e sulle Sue opere.


Egli solo può condurre tutti i Suoi amici ai pascoli eterni del Padre e donare loro la salvezza e la felicità.


Preghiamo perché possa essere bandito ogni moto di eversione ed affinché, ad ogni esperienza e sopruso, possiamo rispondere con una testimonianza di vita e di leale obbedienza, che ci inserisce automaticamente nel numero delle pecore fedeli dell' ovile celeste.

New York, 21 Aprile 2002
 IV Domenica di Pasqua