Europa:

 

L’Europa dei liberi e forti
 

Un europarlamentare fa il punto sulla battaglia intorno alla Convenzione europea.
E' in gioco la missione dell’Europa nel XXI secolo. Meglio Blair che Prodi o Giscard D’Estaing

 
 

di Mario Mauro


Cosa c’è veramente in gioco nel dibattito intorno al testo uscito dalla Convenzione? E perché la lotta s’inasprisce in questo modo? Tra i due litiganti, Prodi e Giscard D’Estaing, l’unico che sembra aver portato a casa un risultato concreto pare essere l’euroscettico Tony Blair. Attraverso la figura del Super Presidente ha riproposto, con una formula quasi medievale, una sorta di minimalismo dell’impero a vantaggio degli Stati nazionali. La domanda a cui abbiamo cercato di dare risposta in questi mesi è se esista e quale sia la comune identità europea. Dalla risposta affermativa a questo interrogativo dipende la fattibilità della costruzione di un’integrazione europea molto forte, e soprattutto il concetto di una cittadinanza europea. Se vi è un’identità comune, allora ha un senso una cittadinanza europea comune.
Conoscete ormai la procedura prevista per la costruzione: la Convenzione finirà i propri lavori ed elaborerà un documento, una bozza, poi ci sarà un intervallo di tempo durante il quale si presuppone che i cittadini europei, le forze politiche ed i Parlamenti riflettano su questo testo, ed infine seguirà la Conferenza intergovernativa che produrrà il documento finale. Auspichiamo che durante l’intervallo tra la fine dei lavori della Convenzione e il momento in cui la Conferenza intergovernativa trasformerà la bozza uscita dalla Convenzione in una Costituzione vera e propria i Parlamenti nazionali (e non solo quelli) siano chiamati a dibattere, in modo da dare suggerimenti ed indicazioni. A quel punto tali interventi potranno essere davvero concreti ed operativi, perché ci sarà un documento, e la Conferenza intergovernativa avrà modo di ascoltare anche la voce dei Parlamenti e non soltanto la voce dei cento o poco più rappresentanti della Convenzione. Se noi non coinvolgiamo i Parlamenti, e tramite i Parlamenti le forze politiche ed i cittadini tutti, il rischio è che nasca una Costituzione europea estranea ai cittadini e distante da loro.

La persona al centro
è per questo che con altri dieci amici parlamentari abbiamo proposto un manifesto ai colleghi deputati nazionali di tutti i Paesi che agevoli la libertà religiosa, la libertà politica ed il riconoscimento dello Statuto delle Chiese. In esso chiediamo in primo luogo che il fatto religioso sia riconosciuto nel futuro Trattato fondatore dell’Europa allargata, per neutralizzare ogni tentativo ideologico e politico di strumentalizzazione dei popoli e delle religioni. Questo riconoscimento del fatto religioso non rappresenta l’espressione di un’opinione politica di parte. Deriva da uno sguardo oggettivo portato sulla realtà del suo ruolo in Europa e garantisce l’esercizio di una laicità rispettosa delle convinzioni di tutti. È assolutamente indispensabile tornare a questa idea di Europa, perché essa è stata tradita dal Novecento, dall’affermarsi dei totalitarismi e degli statalismi. È stata tradita dal nazismo e dal marxismo, che hanno annichilito quell’umanesimo laico e cristiano che per secoli era stato il fondamento dell’idea d’Europa. Non le classi, non le razze, non lo Stato, non la scienza, ma l’uomo, la passione, la persona. Non ci sarà Europa se non tornerà a sventolare la bandiera della centralità della persona, al di sopra di ogni residuo di classismo, di statalismo, di razzismo.

Superare la “sindrome americana”
Ma non ci sarà Europa se non ritroveremo tutti - popoli ed élites - la capacità di tornare a pensare in grande, a pensare a noi stessi in relazione al mondo, soprattutto mentre il mondo ci chiede con la globalizzazione di tornare a questo nostro ruolo. Il che significa assunzione di nuove responsabilità politiche e militari, e anche trasformare il nostro rapporto con gli Stati Uniti per andare verso una linea di competitività e di amicizia, in luogo della subordinazione e dell’ostilità nascosta. Dobbiamo superare insomma la “sindrome americana” e, assieme agli Stati Uniti, tornare ad assumere un ruolo di leadership nel mondo. Le tre Europe che il Novecento ha diviso, Europa dell’Ovest, centrale e dell’Est, devono tornare ad essere unite, così come Helmut Kohl ha saputo prevedere con coraggio, avviando un’operazione politica in tal senso.
In conclusione, non ci sarà Europa se il nostro continente non tornerà ad essere un laboratorio dell’innovazione politica, e non tornerà ad essere unito sul valore della centralità della persona. Invece, sembra che da noi la morte dell’ideologia si stia trasformando in un’ingiustificata morte delle idee. Sembra che l’Europa morta nel Novecento tenti di afferrare l’altra che vuole andare avanti, crescere, chiudere una pagina buia della propria storia politica. Sembra che le riforme necessarie ancora debbano ricevere il giusto supporto di una cultura che crede nell’Europa; sembra che nelle classi politiche europee ma anche nella società civile prevalga una sorta di indifferentismo, quasi una sorta di nichilismo, di mancanza di fede nel futuro. Il rischio è quello di smarrire la capacità di essere un continente accogliente ma anche un continente che sa difendere la propria sicurezza, che ama la propria storia e che non omette i segni ed i simboli della propria storia, di quell’umanesimo laico e cristiano che sono le fondamenta della nostra tradizione, per malinteso rispetto degli altri.

Togliersi il grembiule, please
Il punto di equilibrio messo a fuoco in questi giorni dalla Convenzione è chiaramente insufficiente. Ma tra Prodi e Giscard l’alternativa è solo apparente. Forse nel minimalismo di Blair che propugna non una costituzione restrittiva, ma un trattato che valorizzi le differenti tradizioni giuridico-costituzionali europee, c'è l’ultimo scampolo di realismo cristiano disponibile, alieno dall’ideologismo astratto di Giscard e dal burocraticismo comunitario di Prodi. L’ultimo scampolo di realismo capace di rilanciare con forza l’avventura europeista. Un preambolo in cui, parlando d’Europa, non si ha il coraggio di pronunciare la parola “cristianesimo” è plausibile solo per chi come capo all’ultima moda indossa sempre e solo il grembiulino.
 
 

Europa: «L’Europa dei liberi e forti», di Mario Mauro, Tempi,  Numero: 23 - 5 Giugno 2003

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