Europa:

persona
e
libertà

Le radici cristiane dell'Europa
 e
la nuova Costituzione Europea
 

 

 

On. Rocco Buttiglione

Perché vogliamo che, nella Costituzione europea, l'Europa riconosca le proprie radici culturali cristiane ? Vediamo, innanzi tutto, di delimitare l'ambito del tema di questa sera. Vogliamo forse dire che tutti gli Europei devono essere cristiani cattolici e che quelli che non vanno a Messa la Domenica sono cittadini di seconda categoria? Non è questo quello che noi vogliamo dire! Quando vogliamo che siano menzionate le radici cristiane dell'Europa, non dimentichiamo che l'Europa è fatta di cattolici, di protestanti, di ortodossi e anche di cittadini che se gli domandi se Gesù Cristo sia il Figlio di Dio ti rispondono di no o che non ci credono, non credenti. Perché, allora, diciamo che l'Europa ha delle radici cristiane? Qui parliamo del Cristianesimo in un senso culturale. Anche quegli uomini Europei che non credono in Gesù Cristo Figlio di Dio o che dicono di non credere in Gesù Cristo Figlio di Dio, - che non è esattamente la stessa cosa, perché a giudicare sulla fede sarà solo il buon Dio nell'altro mondo - anche questi, hanno una struttura di personalità e una cultura che ha profondamente subito l'impatto e l'influenza della vita cristiana, tanto è vero che un grande filosofo laico - avversario della Chiesa Cattolica in Italia - come Benedetto Croce poteva scrivere un libretto dal titolo "Perché non possiamo non dirci cristiani". Che vuol dire questo?

Se uno viaggia e va fuori dell'Europa lo capisce meglio. Perché scopre che tante cose che noi consideriamo come ovvie e scontate, come puramente naturali, fra popoli che non hanno subito l'esperienza cristiana non sono riconosciute. Basta attraversare il canale di Sicilia, perché una cosa per noi ovvia e scontata, come il fatto che ogni ragazza ha il diritto di scegliersi il proprio marito, non sia così ovvia e scontata, anzi sembra che il contrario sia vero.

La idea che la responsabilità penale è personale e che io non posso ammazzare qualcuno per un torto che mi ha fatto suo fratello, suo cugino o suo cognato, il suo concittadino, questa idea che a noi sembra evidente, in altri popoli non è altrettanto evidente. Lo diciamo senza nessun complesso di superiorità. Non stiamo dicendo che noi siamo migliori o più buoni di altri popoli. Infatti, non appena, per un attimo ci dimentichiamo del cristianesimo anche noi facciamo le rappresaglie, ammazziamo la gente facendo le vendette trasversali. Pensate al dramma terribile del ciclo delle due grandi guerre mondiali: quando l'Europa si è dimenticata di essere cristiana ha fatto esattamente le stesse cose!

Ci sono alcuni valori naturali che nel Cristianesimo hanno avuto un appoggio potentissimo e hanno formato la nostra cultura.

Ci hanno dato un modello di famiglia: noi siamo più o meno convinti che i bimbi devono nascere da un papà e da una mamma e che un papà ed una mamma devono prendersi cura dei loro figli (… c'è il divorzio, però è considerato ancora una eccezione). Noi crediamo in una certa struttura di famiglia che produce un certo tipo di persona. Non in tutto il mondo è così, non nello stesso modo.
Quale è l'apporto più grande che il Cristianesimo ci ha portato? Io, direi, è la idea di persona. Non a caso nella Carta dei diritti - all'articolo 1° - c'è proprio il richiamo alla dignità di ogni singola persona umana.

Cosa vuol dire persona? L'idea di persona è una idea filosofica e non c'è bisogno della Rivelazione per giustificarla, però storicamente nasce in ambiente cristiano, più precisamente in ambiente teologico. L'idea di persona nasce nelle controversie cristologiche del IV° secolo, quando i cristiani devono rispondere ad una obiezione. L'obiezione principe contro il Cristianesimo: l'obiezione contro l'idea di Trinità. Meglio…, l'idea di Trinità ancora non c'era: i cristiani devono rispondere all'obiezione "com'è possibile che Gesù sia anche il Padre e anche lo Spirito Santo? Se sono tre, come fanno ad essere uno? È una cosa incomprensibile." Per rispondere a questo, i cristiani, elaborano il concetto di persona. La persona è un essere il quale, come dirà poi anche il Concilio Ecumenico Vaticano II, non può realizzare compiutamente se stesso se non attraverso un libero dono di sé. E l'idea di persona è che uno vive attraverso l'altro, che l'appartenere all'altro è costitutivo della mia identità tanto che io non sarei me stesso se non appartenessi a te. Questa appartenenza ha tanti livelli: il primo, nell'ordine naturale il più forte, è quello dell'amore coniugale. Io sono quello che sono, perché sono contemporaneamente il marito di mia moglie, il padre delle mie figlie, il nonno dei miei nipoti, il figlio dei miei genitori. Ma questo, che è un fatto naturale, poi si dilata al di là dell'ambito naturale, perché attraverso la fede divento figlio, fratello, sposo, padre, secondo un ordine di prossimità, di tutti gli altri esseri umani che sono sulla terra.

E da questo nasce anche quella realtà che chiamiamo nazione. Vi siete mai domandati da dove nasce la nazione italiana? Ha provato a descriverlo Alessandro Manzoni in un dramma, l'"Adelchi": la nazione italiana nasce dal perdono e dal Battesimo. È il Battesimo e il perdono che mette assieme Longobardi e Latini: due popoli che si odiano, che hanno tanti motivi per ammazzarsi l'uno con l'altro, più di quanti ne abbiano Palestinesi ed Ebrei in Palestina e che, tuttavia, in forza del Battesimo, lentamente, molto lentamente, imparano a considerarsi come fratelli, a sposarsi gli uni con gli altri, a perdonarsi il male che si sono fatti e, in questo modo, nasce una cosa nuova che è la nazione italiana.

Come nascono le altre nazioni europee? Più o meno nello stesso modo. Guardate la storia francese: sono i Franchi e i Galli, in Spagna saranno i Visigoti e gli Ispanici. Il cristianesimo è capace di rendere il lontano vicino, l'estraneo fratello, di creare una comunità che va al di là del vincolo della carne. Approfondisce il vincolo della carne, ma crea una comunità che va al di là di questo vincolo.

Questo dato culturale definisce la cultura europea. Perché l'Europa non è un continente, è una cultura. Dov'è il confine geografico dell'Europa ? Non lo sa nessuno, perché l'Europa è una cultura che nasce all'inizio a Roma, però con una radice in Palestina ed anche in Grecia. Un' Europa che non ha consapevolezza delle sue radici non è un soggetto culturale, non è un soggetto politico, è soltanto uno spessore di mercato. Il mercato è una cosa buona e noi siamo per l'economia di mercato, ma il mercato è come il sesso: originariamente buono, ma che facilmente diventa cattivo se non è contenuto e governato dalla ragione. Allora, il mercato ha bisogno di essere contenuto e governato da valori che sono politici, religiosi, culturali. Per poterlo governare occorre avere una cultura: allora, il mercato, diventa un elemento positivo. Inoltre, se l'Europa non vuole essere mercato e solo mercato deve avere una identità. E l'identità dell'Europa è questa: è l'identità cristiana. Obiezioni: quando io ho fatto la proposta, alla commissione delle Carta dei Diritti di cui ero membro, attraverso un emendamento, di richiamare nella Carta dei diritti le radici cristiane dell'Europa, mi hanno detto "no, è troppo limitato". Ho riposto, avete ragione: non solo cristiane, ma ebraico-cristiane. C'erano anche gli ebrei in tutto il processo della storia europea, ebrei e cristiani hanno tantissimo in comune, sono i nostri fratelli maggiori… mi hanno detto "non va bene, è troppo limitato". Ho risposto, avete ragione. Perché non ci sono solo le radici ebraico-cristiane. Non vogliamo essere escludenti. Socrate, dove lo mettete? La cultura europea è fatta da Gesù Cristo e dalla tradizione greco-latina. Poi, noi pensiamo che Socrate sia una specie di Mosè dei pagani (S. Agostino lo ha chiamato Mosè dei pagani, colui che nel mondo pagano ha avuto la funzione di precursore per i pagani così come Mosè l'ha avuta per gli Ebrei). Richiamiamo - ho nuovamente proposto - le radici cristiane ed ebraico-greco-latine. Non è andato bene neppure così! Ed io ho la preoccupazione che qualcuno voglia un'Europa senza cultura. Perché non basta il richiamo ai valori: se non ti indico il metodo con cui questi valori sono diventati concreti per me, i valori rischiano di rimanere astratti, oggetto di una ammirazione che non può diventare imitazione. Immaginate che un grande sollevatore di pesi si esibisca davanti a voi sollevando in aria 200 chili. Questo vi abilita ad alzare 200 chili? Neanche un po'! Ma se lui vi indica la palestra dove ha imparato come si fa e vi dice il processo attraverso il quale tutte le mattine, facendo questi esercizi, di qui ad un anno solleverete duecento chili, allora, forse, funziona. Indicare i valori senza indicare il metodo attraverso il quale questi valori sono entrati nella storia europea è astratto, e rischia di rendere il riferimento ai valori poco credibile. Altra obiezione: voi siete contro l'Islam e volete emarginare gli islamici. Non è vero! Per due motivi.


L'Islam nel Corano riconosce Cristo come il più grande profeta prima di Maometto. In senso culturale, non dovrebbero avere difficoltà nemmeno loro a riconoscere la positività dei valori cristiani. E se non fosse così? Vorrebbe dire che è un Islam che non ama il Cristianesimo, ma se non ama il Cristianesimo non ama neanche l'Europa e allora è bene che in Europa non ci venga, perché, tutto sommato non siamo noi che chiediamo di entrare nella Turchia, è la Turchia che chiede di entrare nell'Unione Europea. Io credo che sia bene che entri. Pensate che grande cosa l'apertura alla missione, in termini di libertà religiosa, di un grande paese islamico. Non c'è mai stata un'opportunità così nella storia della Chiesa. Io sono favorevole che la Turchia entri, ma deve entrare rispettando la nostra cultura e la nostra identità. Altrimenti, si genera il paradosso per cui tutti possono venire in Europa portandosi dietro la loro cultura e noi che siamo nati in Europa il diritto alla nostra cultura non lo abbiamo e dobbiamo annullare la nostra cultura, perché se noi affermiamo la nostra cultura sembra un'offesa per gli altri. Ora, se io vado in un paese che ha una cultura diversa dalla mia cerco di valorizzarne gli aspetti positivi, di entrare in un dialogo simpatetico con quella cultura, per lo meno la rispetto se non riesco ad amarla. Se chi viene fra di noi, non è in grado di amare o, almeno, di rispettare la nostra cultura, onestamente, il problema è il suo. Nessuno può chiederci di rinunciare ad avere una cultura, perché viene sentito come un ostacolo per altri.


Guardate che chi viaggia nei paesi islamici, chi dialoga con l'Islam e conosce l'Islam, sa bene una cosa: l'Islam ha molta più paura del vuoto di valori che è diffuso da una certa cultura laicista che non del Cristianesimo. Hanno molto più paura di "Dallas" - non la bella città americana, dove anche sono stato professore - ma del telefilm: quella immagine di un mondo in cui tutti i valori sono scomparsi e rimangono solo l'usura, la lussuria ed il potere. Il loro timore è "volete renderci simili a voi, facendoci perdere tutti i valori". E questo genera la rabbia. Se, invece, ad esempio, uno dice "io sono cristiano e credo nella santità del matrimonio, anzi ci credo più di te perché ho un'idea più elevata della donna" - questa è una cosa su cui si può discutere. Mentre, definire l'Europa come uno spazio vuoto di valori, non rende più facile la convivenza, ma la rende più difficile! Perché chi viene e trova uno spazio vuoto ha due reazioni: la prima, il disprezzo per una cultura senza valori e, la seconda, il tentativo di riempire lui questo spazio vuoto. Se, invece, gli si dice che questo è uno spazio pieno, lui cercherà di dialogare con questo spazio pieno chiedendo il rispetto per la sua cultura, ma anche esprimendo il rispetto per la cultura che trova. Per questo abbiamo fatto un emendamento all'articolo due della nuova Costituzione Europea, in cui inseriamo il richiamo alle radici cristiane. Secondo me, se non è l'articolo due va bene lo stesso. Stiamo trattando, in politica si tratta su tutto. Pare che, invece che nell'articolo 2, il richiamo alle radici cristiane potrebbero metterlo nel Preambolo. Va ugualmente bene. E se ci dicono che oltre alle radici cristiane occorre aggiungere le radici ebraico-latine va ugualmente bene, perché corrisponde alla realtà. Non chiediamo privilegi, chiediamo un Europa che abbia il coraggio di dire la verità su se stessa.
 

 

 

Don Luigi Negri

Vorrei fare soltanto alcune osservazioni di conferma ed, eventualmente, di documentazione a quello che Rocco Buttiglione ha già detto.


Una prima osservazione:
la tradizione cristiana, la tradizione cattolica è inscritta profondamente nella struttura culturale ed antropologica dell'Europa. Lui ha già usato la parola più sintetica, il valore più sintetico ed espressivo: la persona. Questa realtà irriducibile a qualsiasi altra, perché sta sola di fronte al Mistero di Dio e, quindi, non è riducibile né alle condizioni fisiche in cui vive, né alle condizioni politiche. Ma questa "persona" dotata della straordinaria capacità che si chiama libertà: quella di scegliere, di affermare il positivo, di affermare il negativo e, quindi, una libertà che costruisce. Una libertà che costruisce società, costruisce famiglia, dialogo fra le famiglie, stanziamento delle famiglie in un territorio, creazione di istituzioni e strutture. Fino all'ultima struttura: quella della conduzione politica che deve garantire che la polis, la società, non sia semplicemente una regolamentazione dall'esterno, ma sia una guida attiva del bene comune, nel rispetto delle differenze, delle persone, delle famiglie, dei gruppi. L'Europa ha questa tradizione: una tradizione di personalismo libero, responsabile che ha avuto sempre una profonda pietas, una profonda consapevolezza dei propri limiti e del cammino faticoso con cui si è creata l'Europa. L'Europa non si è creata dalla sera alla mattina, come per un progetto ideologico, ma è stato un lungo cammino di inculturazione della fede e, in questa inculturazione della fede, i limiti ancestrali delle razze, dei popoli che per qualche secolo sono venuti rovinosamente l'uno contro l'altro ha trovato una possibilità di reale educazione. Per questo, se la parola "persona" sintetizza la tradizione cristiana dell'Europa, c'è un'altra parola che è come il riverbero di questa prima ed è la sua espressione più significativa: libertà. L'Europa è stata il luogo della libertà. Della libertà positiva, della libertà di costruire. Un grande storico francese - René Grousset - in un grande volume - "Bilancio della Storia" - ha detto: "sempre l'Europa ha messo la libertà contro l'assolutismo". Dal tempo dello scontro fra i Greci e i Persiani, nel momento della straordinaria e, per certi aspetti, inconcepibile impresa di Alessandro Magno di portare la persona e la libertà fino agli estremi confini dell'Asia, nel confronto duro con gli Arabi, con i Turchi e, forse, anche nel contrasto non meno duro con i popoli delle steppe eurasiatiche, l'Europa ha difeso la libertà. Questi sono i valori della tradizione. Togliere ogni riferimento alla tradizione cristiana vuol dire dare dell'Europa un'immagine monca, in ciò che è così essenziale non per un determinato momento della storia, ma per l'uomo in ogni momento della storia. Perché se l'uomo non è persona, e se non è persona libera non è più uomo nella radicale e definitiva rivelazione che il Cristianesimo ha fatto di una profonda esigenza della natura - che la filosofia greca aveva siglato nella grande filosofia platonico-aristotelica.


Seconda osservazione.
Vorrei chiamare in causa del Magistero dei Papi - che hanno sempre parlato dell'Europa nei termini che abbiamo formulato anche noi, questa sera - quello che mi sembra lo specifico dell'insegnamento di Giovanni Paolo II. E non soltanto di Giovanni Paolo II, perché c'è un predecessore di Giovanni Paolo II che ha avuto, per molti aspetti, una vibrazione estremamente simile a quella di Giovanni Paolo II: Leone XIII.

L'insegnamento di questi due Papi, ovviamente riconosce che i valori della tradizione cristiana fanno parte della tradizione europea, ma il Papa cerca di chiarirci in che modo sono nati questi valori e perché sono nati. Sono nati perché la Chiesa non è stata un progetto ideologico, ma è stata un movimento di vita. Questi valori sono stati creati, perché il popolo cristiano - quello che Paolo VI definiva una "entità etnica sui generis"- un popolo che non nasce dalla carne e dal sangue, per dirla con San Giovanni, ma che da Dio è generato - ha creato la cultura e la civiltà europea, non prefiggendosi di creare una cultura, ma vivendo. Vivendo, mangiando, bevendo, vegliando e dormendo, vivendo e morendo, non più per se stessi, ma per il Signore. La Chiesa ha creato cultura, perché è stata un movimento di vita.
La grande alternativa, nella storia, è sempre fra l'ideologia e la vita. O, per dirla con più radicale chiarezza, - come ha detto Rocco Buttiglione - fra ideologia e cultura. Perché la cultura è l'espressione di un popolo, è la coscienza critica e sistematica di un popolo. È la coscienza che un popolo ha di sé, della propria identità, dei propri valori e che li testimonia, prima ancora che parlandone, perché li vive. La cultura viene sempre un istante dopo la vita. La Chiesa Cattolica è stata in Occidente matrice di cultura, potremmo dire, paradossalmente. Ma un paradosso abbracciato da uno dei più grandi storici dell'Europa moderna che non era cristiano: Arnold Toynbee. La Chiesa ha costruito l'Europa senza volerlo, quasi senza volerlo, dando espressione e spessore, non ad un progetto ideologico, ma ad una esperienza di vita. Quando, a Subiaco, S. Benedetto e i primi monaci hanno deciso di vivere sine glossa il Cristianesimo, nessuno di loro poteva pensare che da quell'impegno di essere veri con Cristo nella loro comunione sarebbe nato un movimento di civilizzazione. Un movimento di civilizzazione, per cui la persona era ovviamente al centro, ma era al centro della società perché era al centro della Chiesa. La libertà diventava caratteristica della persona anche a livello civile, perché era caratteristica della persona nella communio ecclesiale. Un movimento di vita che ha creato questi valori che, ormai, fanno parte del DNA dell'Europa. Tanto è vero che sono costretti, vorrei dire, ad affermarli anche quelli che non sono professanti cattolici, perché sono stati creati non da un progetto ma da una esperienza di vita. Un movimento di vita, cioè una vita di un uomo cosciente della propria identità, della propria origine, cosciente del proprio destino: una cultura. Come ce lo ha insegnato il Papa: "una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta". Un uomo con un cuore nuovo, a cui la fede dona un cuore nuovo, cioè una capacità di affermare e condividere l'altro nella sua diversità, senza ridurlo a sé, che è, invece, la caratteristica tipica dell'ideologia. Perché l'ideologia riduce tutto al proprio schema, mentre la fede e la carità aprono il nostro schema allo schema di Dio. E lo schema di Dio comprende tutte le diversità, perché Dio è uno ed è padre di tutte le diversità, avendo lasciato gli uomini liberi di affermare o di negare la sua stessa presenza. Questa è la grande riscoperta della parola Europa, nel magistero di questo Papa. La Chiesa ha creato l'Europa, perché è stata Chiesa, non perché ha avuto il progetto di creare l'Europa.


L'Europa è stata come l'opera di cultura e civilizzazione di un popolo che ha vissuto la fede.


Terza osservazione.
È indubbio che questo movimento di vita, per difficoltà interne che non si devono sottovalutare - crisi interne ideali e culturali, certamente più gravi di quelle morali - ma, soprattutto, per un movimento ideologico che si è creato contro la Chiesa, l'Europa ha visto sorgere nel suo seno,
l'ideologia: il tentativo di creare, a freddo, astrattamente, una immagine di uomo e di società senza Dio. Un uomo ed una società senza riferimenti religiosi. Una politica che risponde solo a se stessa, cioè al rigore delle procedure che l'hanno fatta nascere. La secolarizzazione che, certamente, - non possiamo negarlo - appartiene anch'essa alla tradizione europea, ha avuto il volto della scristianizzazione.

E la scristianizzazione ha avuto due facce che, ora, sono chiaramente visibili:

la prima, - la più radicale e rovinosa - quella di annientare il popolo cristiano, annientare la Chiesa come movimento di vita. L'enorme tributo di martirio che ha caratterizzato la vita della Chiesa in Europa negli ultimi secoli, e segnatamente nell'ultimo secolo, il XX, - riscoperto da grandi giornalisti, ma soprattutto per l'iniziativa del Papa - di oltre quaranta milioni di cristiani martirizzati da sistemi ideologici che, ancora oggi, segnano di martirio la presenza cristiana.

La seconda, non meno grave, e, per certi aspetti più pervasiva, è quella di ridurre il movimento di vita della fede a qualche cosa che può essere ideologizzato: la Chiesa come agenzia di valori pedagogici. Questo riconoscevano i rivoluzionari francesi nella costituzione civile del Clero: i preti educassero alla moralità il popolo, perché lo Stato non aveva questa forza. Questo riconosceva il fascismo italiano nella sua riforma gentiliana della scuola, quando metteva la Religione come propedeutica e premessa all'appartenenza fascista. Ridurre la Chiesa a parte di sé, condizionarla in tutti i modi nell'esercizio della sua libertà. La Chiesa se tende ad avere una sua espressione culturale e sociale dipende dalla Stato. Libera Chiesa, in libero Stato. Se la Chiesa vuole essere un popolo deve fare i conti con lo Stato e deve accettare le regole dello Stato. Se la Chiesa accetta di essere un fattore sostanzialmente ideologizzabile, cioè ricondotto ad un uso ideologico, allora la Chiesa può esistere come opzione individuale, come spiritualità individuale, come esegesi, come impegno etico a servizio delle classi povere, come uno sforzo che non ha la forza del popolo, ma che copre certi interessi e certi bisogni, che risponde a certe necessità senza mettere in crisi la cultura e l'ideologia di una società. Rocco Buttiglione ci ha insegnato, anni fa, a leggere la storia della Dottrina sociale della Chiesa - dal 1848 fino al 1991 con l'enciclica "Centesimus annus"- come una grande lotta che il supremo magistero della Chiesa ha fatto, non per contrapporre ai contenuti ideologici del laicismo i contenuti ideologici della tradizione cristiana, ma per contrapporre al movimento ideologico che strozzava l'Europa - e al di là di essa, strozzava il mondo, perché l'Europa era diventata la capitale del mondo nel 19° e nel 20° secolo - un'altra cultura, la cultura di un popolo che chiedeva la centralità della persona; la cultura che chiedeva la superiorità della società sullo Stato e lo Stato a servizio della società; che chiedeva quella rigorosa distinzione fra struttura politica e realtà ecclesiale che è stato il vanto del Magistero cattolico dai tempi di Papa Gelasio fino al Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa, dunque, non può accettare di essere ridotta ad un fattore ideologico o ideologizzabile e la crisi che serpeggia, a mio parere, in tante espressioni del mondo cattolico di oggi è la tendenza a pensarsi e a farsi considerare come "agenzia", come un particolare che la cultura ideologica può utilizzare, anziché come una cultura autonoma che ha una sua originalità, che ha una sua identità, che ha una sua antropologia, che ha una sua concezione della società e, quindi, che ha una sua concezione della politica. Per questo - e concludo - il Papa non difende una tradizione del passato, difende il presente di questa tradizione. E il presente di questa tradizione è la vita, oggi, del popolo cristiano. E oggi il popolo cristiano è una realtà viva, non che difende contenuti del passato, ma che li ripropone continuamente secondo la formalità e le esigenze del presente. Il Papa che difende così attivamente la tradizione è anche il Papa che ha chiesto alle Chiese, in particolare alle Chiese europee, di riprendere la propria soggettività evangelizzatrice. È il Papa che alla sua prima visita in Francia, proprio all'aeroporto, guardando l'impressionante fenomeno della folla che era concorsa a salutarlo disse una frase terribile, semplicissima e profondamente paterna: "Francia, decidi. Chi ami tu? Di chi ti fidi?" E alla Chiesa italiana, radunata non lontano da qui, al Congresso di Loreto, nel 1995, disse: "Oggi la tradizione cattolica del vostro Paese rischia di essere completamente superata"; e aggiunse - quasi gridando - "è necessaria nel vostro Paese una nuova implantatio evangelica". Il Papa difende la nostra tradizione, ma il Papa ci interpella nel nostro presente. Potremo seguirlo in questa difesa appassionata di un passato che diventa presente se risponderemo alla sua interpellanza; e la sua interpellanza è a noi cristiani: chi amate voi cristiani? Di chi vi fidate? Il movimento della fede è il movimento della vita. La fede è un principio di vita e, quindi, di conoscenza e di azione, o la fede è un particolare totalmente inseribile nella ideologia mondana?

Il Papa certamente difende la Chiesa di fronte al mondo e la difende da par suo, ma insieme il Papa interpella la nostra coscienza e la nostra libertà cristiana. Non si può mai sentire parlare il Papa di nessuna cosa, ma particolarmente dell'Europa, senza rendersi conto che ciascuno di noi deve rispondere positivamente a questa sua interpellanza: chi amiamo? Che cosa vogliamo nel mondo? La semplice radicalità con cui Benedetto ha voluto la fede e ha contribuito alla nascita dell'Europa. Se saremo uomini di fede daremo il nostro contributo all'Europa del terzo millennio, altrimenti il passato finirà per essere una cosa che, non essendo la passione del nostro presente, difficilmente potrà essere la passione di quelli che ci circondano e ai quali non saremo più neanche in grado di proporci. Difendere l'Europa cristiana vuol dire rinnovare l'impeto della fede e della missione cattolica oggi, all'inizio del tertio millennio ineunte.
 

 

Europa: «Le radici cristiane dell'Europa e la nuova Costituzione Europea», On. Rocco Buttiglione - Don Luigi Negri, www.CulturaCattolica.it, giugno 2003

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