Il piccolo mondo di Galatro

 

Diritto venatorio

da

'U ventu sparti

di Umberto Di Stilo

 

In Calabria (così come in molte altre regioni italiane) esistono (e sono tuttora osservate) alcune “norme non scritte” che regolano l’attività venatoria che, secondo una classica quanto antica definizione costituisce il diritto naturale di tutti gli uomini liberi.

Norme non scritte e non riportate da nessun codice ma le cui origini si perdono nella notte dei tempi, dal momento che alcune tracce si possono riscontrare negli editti dei re longobardi come,  al  Convegno di diritto comparato svoltosi in Roma nel 1955, ha sostenuto lo studioso nicoterese  Raffaele Corso.[1]

Una di queste norme stabilisce che

                           ‘a caccia ‘i  pilu

                            si sparti filu a filu;

                           ‘a caccia ‘i pinna

                            cu’ ammazza s’a spinna

                                                        (Galatro)

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motivo per il quale tra tutti i cacciatori che partecipano ad una battuta,  proprio in applicazione di questa regola, si divide in parti uguali la selvaggina grossa, mentre ognuno tiene per sè i volatili uccisi, qualunque sia il numero delle “vittime”. 

A  tal proposito è abbastanza esplicito  il detto che sancisce la norma secondo la quale

                           caccia di pinna

                           cu’ cchiù ‘nd’ammazza

                           cchiù ‘ndi spinna

così come  non ci sono equivoci sulla proprietà del volatile “avvistato” ed ucciso:

                           chi ni trova la caccia

                           si la pigghja.

                                                                      (Catanzaro)

Nel diritto germanico la proprietà dell’animale cacciato si acquistava, come avviene nel diritto vigente, solo con l’effettiva presa di possesso della preda; precedentemente, invece, si pensava che nella disputa tra i due cacciatori potessero prevalere i diritti  di chi aveva per primo colpito e ferito il volatile o di chi lo stava inseguendo e cercando tra i sentieri ed i dirupi. Oggi se due cacciatori colpiscono contemporaneamente la stessa preda, questa diviene proprietà di quello che tra i due riesce per primo a raccogliere l’animale. Tutto ciò anche perchè secondo l‘antico principio:

                           cui megghju fujia

                           a caccia si pigghja.[2]

                                                                    (Catanzaro)

Altre norme, sul tema della divisione della cacciagione, che ci sono state tramandate dagli  antenati, sono ancora tenute in vita dai nostri cacciatori che le osservano scrupolosamente.

Sicchè c’è ancora chi ama ricordare che

                           caccia di pilu a cu’ arresta,

                           caccia de pinna a cu’ resta

                                                                   (Catanzaro)

massima che, nella sua apparente sibillinità, ribadisce il concetto secondo il quale la cacciagione si assegna e si divide in base alla specie  a cui appartengono le vittime.

Per la lepre e per la volpe (entrambe ricadenti nella categoria della così detta “caccia di pilu”) vige un’altra norma.

Diventa, infatti, proprietario della lepre non il cacciatore che riesce ad ucciderla ed a catturarla ma chi determina la sua uccisione riuscendo a stanarla  con l’aiuto dei cani o più semplicemente con una buona dose di fortuna.

Della volpe, invece, diviene assoluto proprietario il cacciatore che, centrandola con la sua arma,  riesce ad ammazzarla.

Queste norme, ancora in uso tra i nostri seguaci di Diana, sono contenute della massima

                           ‘u lepru  (è)  di cu’  ‘u caccia

                           ‘a gurpi  (è)  di cu’ ammazza.

                                                                          (Galatro)

 

 

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N O T E

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<<Diritto venatorio >> è parte della relazione <<'U ventu sparti - NORME GIURIDICHE NEI DETTI E NEI PROVERBI CALABRESI>>, tenutasi il 25 aprile 1994 a Mongiana, durante il IX Convegno su "LA NOSTRA LINGUA", ed è tratto dal Libro di Umberto Di Stilo "'U ventu sparti", Edizioni ACRE - Associazione Culturale Ritorno Emigrati - Mongiana (Vibo Valentia) 1995

[1]

Vedi: D. Carpitella: Materiali per lo studio delle tradizioni popolari, Roma, 1972, pag 195.

[2]

Vedi: E. Zimatore: Proverbi giuridici calabresi, Catanzaro 1983, pag. 67.

 

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