'U ventu sparti

DE  AREA  AD   AREAM

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Secondo una consuetudine antica, il lavoro che il bracciante “giornaliero” era tenuto a compiere alle dipendenze del proprietario terriero, doveva protrarsi per tutto il giorno; cioè dall’alba al tramonto.

Tale norma era “ufficializzata” dai pubblici bandi che in marzo ed in agosto  venivano regolarmente affissi alle porte di tutte le chiese.

Sulla consuetudine di lavorare “de area  ad aream” o, come si diceva dalle nostre parti, “di jornu a jornu”,  c’è stato un fiorire di detti.

E’ il caso di ricordare:

                                   a vintun’ura
                                   ‘a jornata scura

                                                (Galatro)

con cui si sanciva che solo al tramontar del sole si concludeva la giornata lavorativa. 

Lo stesso concetto, con bella immagine poetica, è messo in bocca alle anziane raccoglitrici d’olive le quali, al calar della sera, per smettere di lavorare ripetevano, anche sotto forma di incitamento:

                           a la gatta nci lucinu l’occhi

                           jamuncindi cotrari, ch’è notti

                                                                          (Galatro)

con la variante:

                           e lu suli è sup’a li petti

                           jamuncindi figghioli schetti.

Il tramonto del sole, comunque, oltre a coincidere con la fine delle attività lavorative rasserenava psicologicamente i braccianti (i “jornatari”)  dal momento che, solo allora, acquisivano la certezza di aver maturato il diritto al pagamento del lavoro effettuato. Secondo la massima, infatti, soltanto

                           a’ vint’ura

                          ‘a  jornata è sicura.

                                                                            (Galatro) 

e, come conseguenza concreta, l’operaio poteva portare a casa quel modestissimo salario che gli avrebbe consentito di garantire a tutti i componenti la sua (spesso) numerosa famiglia il necessario per vivere. Ciò perchè, unanime era l’opinione che:

                           lavuru fattu

                           dinari aspetta,

                                                                           (Galatro)

o, come sostengono altri:

                          ‘u lavuru è fattu:

                           i dinari aspetta.

Mentre il tramonto ai braccianti, ed ai lavoratori in genere, portava la fine delle attività lavorative, al proprietario terriero, quanto mai egoista, arrecava insoddisfazione e tristezza. Il proverbio antico, infatti, a tal proposito  ricorda  che

                           quandu ‘u suli si fa’ russu

                          ‘u patruni allonga ‘u mussu.[1]

                                                                         (Galatro)

*

<<DE  AREA  AD   AREAM>> è parte della relazione <<'U ventu sparti - NORME GIURIDICHE NEI DETTI E NEI PROVERBI CALABRESI>>, tenutasi il 25 aprile 1994 a Mongiana, durante il IX Convegno su "LA NOSTRA LINGUA", ed è tratto dal Libro di Umberto Di Stilo "'U ventu sparti", Edizioni ACRE - Associazione Culturale Ritorno Emigrati - Mongiana (Vibo Valentia) 1995

[1]

Sull’argomento, vedi:  U.  Di Stilo: Il Tempo, Mongiana 1992, pag. 20.